CUNEO - Anche le eccellenze agricole piemontesi nascondono lo sfruttamento dei braccianti

Il rapporto di Terra! fotografa una realtà ancora segnata da ingiustizie e scarso rispetto dei diritti dei lavoratori stranieri. Ma non mancano gli esempi virtuosi

Micol Maccario 18/07/2025 09:00

L’anno scorso a giugno è morto Satnam Singh, il lavoratore indiano che aveva perso un braccio mentre stava lavorando nei campi di Borgo Santa Maria, intorno a Latina. La sua storia aveva contribuito a fare luce su un problema noto a tutte le persone che conoscono il settore, ma di cui si parla solo quando c’è un caso che fa notizia, come nel caso di Singh. In pochi giorni erano emersi molti altri casi, erano state avviate indagini e pubblicate inchieste giornalistiche sul caporalato. Ma non solo a Latina, in tutta Italia, compreso il Piemonte. Il report “Gli ingredienti del caporalato, il caso del Nord Italia” condotto e pubblicato dall’associazione ambientalista Terra! ha messo in evidenza la pervasività del fenomeno. Secondo le stime riportate da Terra! in Italia ci sono 230 mila lavoratori impiegati irregolarmente nel settore dell’agricoltura. Sfruttamento, caporalato, soprusi, maltrattamenti, condizioni di lavoro e alloggio indegne riguardano tutta la penisola, anche i luoghi dove si producono le cosiddette “eccellenze”, quei prodotti che fanno conoscere l’Italia nel mondo. L’indagine di Terra! è stata condotta da un gruppo di ricercatori che ha analizzato alcune delle principali filiere del Nord Italia per individuarne le caratteristiche, le criticità, i casi di peggiore sfruttamento e anche qualche buona pratica. Nonostante le varie situazioni abbiano delle loro specificità, ci sono alcuni elementi ricorrenti che, come si legge nel report, “si rintracciano da Nord a Sud Italia e in ogni tipo di filiera agricola, persino in quelle più ricche”. Le specificità individuate vanno dalla richiesta di prestazioni poco qualificate alle condizioni abitative precarie, passando per il lavoro cosiddetto “grigio”, cioè la pratica secondo cui l’imprenditore si assicura un lavoro continuativo tutto l’anno, ma non registra più di 180 giornate, che garantiscono l’accesso alla disoccupazione agricola. In Piemonte negli ultimi anni la manodopera extrafamiliare è aumentata, passando dal 17,8% del totale registrato nel 2018 al 20,95% di oggi. E, come si legge nel report di Terra!, dominano in particolare i cittadini stranieri, la maggior parte impiegata con contratto a tempo determinato e con basse qualifiche. “Appena sono arrivato in Italia sono venuto a lavorare a Saluzzo, raccoglievo le pesche”, racconta un lavoratore stagionale originario del Mali a Terra!. “Non avevo mai lavorato in campagna ma se non sai l’italiano è l’unico lavoro che puoi fare”. Per molte persone, infatti, il lavoro dei campi – faticoso e spesso sottopagato – è l’unica possibilità di avere una piccola entrata. La situazione nella Granda Il Cuneese, come altre zone d’Italia, negli scorsi anni è stato al centro di gravi casi di cronaca legati al caporalato e allo sfruttamento. La maggior parte delle aziende agricole piemontesi impiega i familiari, ma la richiesta di manodopera è elevata, ed è per questo che non è raro che si cerchi forza lavoro anche al di fuori della famiglia. Anche la manodopera straniera però è sempre più difficile da trovare. Come si legge nel report, negli anni la mancanza di manodopera “ha determinato l’inserimento di nuovi flussi di lavoratori, soprattutto dall’Africa subsahariana e dall’Asia (in particolare Bangladesh e Pakistan), con una serie di criticità connesse” perché, a differenza “dei lavorati dell’Est, si tratta di persone che spesso non dispongono di una rete consolidata né di un’abitazione, e non hanno le competenze tecniche necessarie”. Sono lavoratori più fragili, che diventano vittime di situazioni di grave sfruttamento con più facilità. Spesso non hanno un’abitazione, arrivano senza alcun ingaggio o contratto. “Questi lavoratori rappresentano la fascia più ricattabile della manodopera straniera, facilmente sfruttabile da capisquadra o pseudo-cooperative che li reclutano direttamente in strada o in stazione”. Le storie di ricatti e sfruttamenti sono più diffuse di ciò che si potrebbe pensare. “Alcuni amici ad agosto mi hanno portato ad Alba e lì, alla stazione, un uomo ci ha chiesto se avevamo bisogno di lavorare. Il giorno dopo siamo andati nelle vigne. Lui ha preso i nostri documenti, ci ha detto che servivano per i contratti. La paga doveva essere 7 euro all’ora. Lui non ci pagava. Gli ho chiesto i nostri soldi e lui ha iniziato a discutere e poi a picchiare il mio collega”, ha raccontato a Terra! un uomo oggi inserito in un sistema di protezione per vittime di sfruttamento lavorativo. Grazie alle numerose inchieste condotte in questi anni molti sistemi di sfruttamento sono stati smantellati. “Il territorio di Cuneo è quello in cui sono emersi più casi, non perché ci sia più sfruttamento rispetto ad altre zone di Italia ma perché il sistema ha funzionato”, ha raccontato una funzionaria dell’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni). “Con il progetto Alt! Caporalato, da settembre 2021 a settembre 2024, le persone supportate in Piemonte sono state 270, di cui 194 lavoratori del settore agricolo solo a Cuneo, in prevalenza provenienti da Gambia, Senegal, Nigeria e Marocco. Di questi, buona parte erano o privi di permesso di soggiorno o richiedenti asilo. Il 94% di loro ha denunciato il datore di lavoro grazie al rapporto di fiducia che il mediatore è riuscito a costruire”. Cambiare è possibile Non tutto il settore è marcio, nel Cuneese esistono anche esempi positivi che dimostrano che sfruttamento e caporalato non sono una condanna eterna di fronte a cui è obbligatorio chiudere gli occhi. Saluzzo negli ultimi anni è stata spesso raccontata come uno dei principali luoghi dello sfruttamento lavorativo del Cuneese e, più in generale, del Nord Italia. Ma grazie a interventi mirati il territorio ha subìto un cambiamento notevole. Il settore frutticolo della zona di Saluzzo si contraddistingue per una forte dipendenza dalla manodopera straniera: dal 2009 a oggi i lavoratori stagionali sono quadruplicati. L’aumento della manodopera straniera, le inchieste e le denunce di sfruttamento degli ultimi anni hanno contribuito allo sviluppo di iniziative per cercare di migliorare le condizioni di accoglienza e di lavoro. Ad esempio, grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) il Comune di Saluzzo, insieme ad altri, ha presentato una proposta di intervento per migliorare le strutture di accoglienza. E tutto il territorio ha lavorato per rendere i servizi più accessibili ai lavoratori stagionali. I buoni risultati ottenuti sono frutto anche della collaborazione tra pubblico e privato, che ha permesso, tra le altre cose, di attivare servizi di distribuzione di beni di prima necessità e di garantire l’assistenza sanitaria. “Reprimere non basta, bisogna costruire alternative”, si legge nel report. Ed è quello che ha provato a fare Saluzzo. Secondo Terra! tra le buone pratiche da introdurre per migliorare la condizione dei lavoratori e contrastare lo sfruttamento c’è la semplificazione delle regole di ingresso dei lavoratori stranieri, il rafforzamento dell’attività ispettiva unito alla regolamentazione delle cooperative, la garanzia di case e salari dignitosi, e una maggiore trasparenza.

Notizie interessanti:

Vedi altro