Riceviamo e pubblichiamo. Gentile Direttore, confesso di aver sorriso leggendo l’articolo in cui un ex primario in pensione si premura di spiegarmi il funzionamento delle liste d’attesa a Cuneo. Informazioni che, lo dico con rammarico, non riesco a ottenere né attraverso interrogazioni ufficiali né consultando i canali istituzionali delle aziende sanitarie. Se io, da consigliera regionale, non riesco ad accedere facilmente a questi dati, è lecito domandarsi quanto possano riuscirci le cittadine e i cittadini. Nella lettera si parla di un “metodo artigianale”, frutto di scelte etiche e organizzative, la cui complessità, si sottintende, poteva sfuggirmi. Forse perché sono giovane, forse perché sono una consigliera “alle prime armi”. Peccato che, a ben vedere, sfugga a chiunque provi a comprenderlo attraverso i canali ufficiali. Eppure, al di là delle intenzioni dichiarate, i fatti raccontano una realtà ben diversa. Questo metodo ha prodotto risultati discutibili: richiami per esami dopo venti-trenta giorni, anziché dieci; mancate comunicazioni; centralini intasati da pazienti in cerca di risposte. Il tutto mentre l’assessore regionale rivendicava il “modello Cuneo” come fiore all’occhiello. Salvo poi, una volta informato nel dettaglio, sospenderne l’applicazione. Forse perché quel metodo, seppur “artigianale”, non era del tutto conforme alle normative? Non è una mia opinione. Sono fatti documentati, già oggetto di attenzione da parte della stampa. E non si tratta di un caso isolato: in Abruzzo, pratiche simili sono finite sotto indagine della Procura di Pescara. I NAS hanno sollevato criticità analoghe in diverse regioni italiane. Se l’obiettivo era davvero aprire un confronto costruttivo, i canali personali esistevano e sono stati, peraltro, già utilizzati. Si è preferito però un altro palcoscenico: quello dei media. Forse un riflesso della vecchia cattedra da primario, o forse il bisogno, umano ma discutibile, di offrire pubblicamente una lezione. Ma, a leggerla oggi, più che una lezione, sembra il tentativo un po’ affannato di mantenere un certo ruolo nel dibattito pubblico. Il punto, però, è un altro. Io non cerco visibilità personale. Cerco, e pretendo, trasparenza e legalità. Che non significa soltanto rispettare la legge, ma anche garantire che ogni azione amministrativa sia comprensibile, documentata e verificabile da tutte e tutti. Perché non basta dichiarare un sistema “virtuoso”. Bisogna dimostrarlo con numeri, dati, evidenze. Che io sto ancora aspettando da chi ha il ruolo di fornirmeli. Una consigliera regionale non è lì per prendere appunti, ma per vigilare sul rispetto dei diritti delle cittadine e dei cittadini. In questo caso, il diritto alla cura nei tempi previsti dalla legge. In tutto ciò entra in gioco anche un altro tema, che vale la pena esplicitare. Quel sorriso di cui parlavo all’inizio è ben noto a molte donne, soprattutto le più giovani. È il sorriso che si assume per quieto vivere, quando si è costrette ad ascoltare toni paternalistici, a volte compiaciuti, che iniziano con un “tranquilla cara, adesso ti spiego io” e finiscono per svuotare qualsiasi confronto reale. Purtroppo, per molte di noi, è ancora necessario far finta di niente per non apparire “fuori luogo”, per non incrinare equilibri e rapporti di potere. Eppure, il fatto che questa sia la realtà non mi impedirà di usare ogni spazio disponibile per affermare con chiarezza: a certe pratiche rispondo come direbbe Willy Peyote, con un deciso “grazie, ma no grazie”. Giulia Marro Consigliera regionale AVS