Come il proverbiale sassolino che scatena una valanga, ha suscitato un pandemonio un passaggio contenuto nel Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne licenziato la scorsa primavera. La polemica impazza lì dove si menziona, all’obiettivo 4, un “accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile” per determinate aree. Apriti cielo: dopo la pubblicazione di un articolo de Il Fatto Quotidiano, è arrivata la presa di posizione - tra l’altro - dei vescovi italiani, con una lettera aperta indirizzata al ministro per le Politiche di coesione Tommaso Foti. Nella Granda la questione era già stata oggetto di un ordine del giorno della maggioranza a Cuneo e di un analogo documento del gruppo di centrosinistra La nostra provincia in Consiglio provinciale. Ne è nata l’iniziativa di un confronto aperto, al termine del quale i consiglieri hanno approvato all’unanimità un ordine del giorno condiviso nel quale la Provincia si impegna a richiedere al governo “di rivedere gli aspetti della strategia nazionale che dovessero risultare non coerenti con l’obiettivo di garantire servizi essenziali, infrastrutture, opportunità di lavoro e di sviluppo nelle aree interne e montane”. Le unioni montane arrancano sui progetti Sul territorio cuneese sono due le aree interne riconosciute nell’ambito del piano strategico nazionale Psnai, varato in forma sperimentale nel periodo 2014-2020 e riproposto nel settennato 2021-2027. Le valli Maira e Grana hanno ricevuto finora finanziamenti pari a 2 milioni e 900mila euro circa, di cui 194mila per progetti già conclusi: i lavori attualmente in essere coprono altri 759mila euro, in più ci sono 1 milione e 460mila in fase autorizzativa e 486.905 euro su progetti in cui iter è ancora da avviare. In valle Bormida, l’altra area interna della Granda, i fondi ammontano a 4 milioni e 900mila euro: 1 milione e 200mila per lavori già conclusi, 541mila per lavori in essere, 2 milioni e 360mila per progetti in fase di affidamento, 821mila euro per interventi ancora da realizzare nell’annualità 2026. “Le risorse messe a bilancio sono tante - ammette il consigliere Pietro Danna - ma i soggetti attuatori si trovano poi in difficoltà dal punto di vista della capacità amministrativa. Ciò sia in termini di potenziamento del personale che di formazione sulle procedure”. Insomma: i soldi ci sono, ma latita la capacità di trasformarli in qualcosa di concreto: gli enti che dovrebbero occuparsene, specie le unioni montane, “spesso non hanno le potenzialità per spendere concretamente e nei tempi le risorse”. Un altro elemento negativo, evidenzia Danna, “è che la procedura di finanziamento delle aree interne, comprendente tre diversi livelli governativi, è eccessivamente burocratizzata”. Le fusioni di comuni non piacciono, ma c’è un altro strumento Tutti coloro che si alternano al microfono concordano su questo punto. C’è convergenza di opinioni anche rispetto al fatto che il famoso documento sullo “spopolamento irreversibile” sia stato male interpretato. Il perché lo spiega il consigliere provinciale e sindaco di Moiola Loris Emanuel: il passaggio contestato è contenuto in uno studio allegato del Censis (definito “un’analisi demografica assolutamente interessante per tutti i comuni”) e non riguarda le aree interne in quanto tali, ma quelle in cui la struttura demografica è talmente compromessa da non permettere, allo stato attuale, di porre obiettivi più ambiziosi. “La strategia è molto complessa e parte da dati demografici precisi, invitando i comuni a concentrarsi sugli obiettivi realmente raggiungibili” precisa il consigliere: “Quelli del Nord Italia vengono ancora visti, nella difficoltà generale, come territori in grado di dare una risposta di resilienza: si ragiona molto ad esempio sull’intervento infrastrutturale. Un altro aspetto che il Censis fa notare è che l’Italia è uno dei sette Stati europei che hanno più difficoltà a compensare il calo demografico con la capacità di ricevere stranieri e immetterli nel sistema produttivo”. La Provincia di Cuneo è intervenuta in questi anni per favorire le associazioni dei comuni: “Il problema - spiega Emanuel - è che le unioni di comuni sono fragili. Le fusioni non attraggono molto, le unioni consentono di non perdere l’identità del proprio campanile, ma allo stesso tempo di organizzarsi: il tema non è chiudere i comuni, ma organizzare diversamente la capacità dei comuni di erogare servizi”. Solo così si può sperare di ottenere quegli “uffici tecnici, amministrativi e ragioneria che servono per trasformare i finanziamenti in opere”. L’autonomia differenziata? “Può essere uno strumento” “Nelle terre alte abbiamo qualche problema di governance che la Regione sta trattando, per rivedere lo strumento delle unioni montane” dice l’assessore regionale alla Montagna Marco Gallo: “Ci sono state carenze negli uffici che più celermente avrebbero dovuto mettere in atto la programmazione e dei cambi di rotta, con richieste di rimodulazione dei progetti”. La buona notizia è che “nella nuova programmazione 2021-27 si va verso un modello più ordinario, questo segna un punto di svolta della strategia nazionale che non è più considerata una fase sperimentale”. In merito alla questione dello “spopolamento irreversibile”, l’assessore rassicura: “Il passaggio che è stato estrapolato è ampiamente superato: è stato confermato nelle settimane e nei mesi successivi l’impegno, anche da parte del governo, a sostenere la strategia”. A confermarlo è il senatore leghista Giorgio Bergesio, presente con a deputata dem Chiara Gribaudo e vari consiglieri regionali: “Non siamo disposti ad accompagnare nessuno spopolamento delle comunità. Lo abbiamo testimoniato col nuovo disegno di legge sulla montagna che ha definito percorsi chiari per i servizi essenziali, soprattutto nel socioassistenziale. La sfida dev’essere un piano Marshall per le aree interne che non miri solo alla resilienza”. Il nodo, concorda il parlamentare, è la capacità amministrativa dei comuni “oggi asfissiati dalla burocrazia”: “Non possiamo vedere con diffidenza un tema importante come l’autonomia differenziata, che porterebbe anche capacità decisionali alle regioni e ai comuni”. Sul punto replica il presidente di Uncem Piemonte Roberto Colombero: “Sono convinto che l’autonomia differenziata possa essere uno strumento, ma oggi rischiamo che le autonomie vengano affossate da un sistema burocratico e dalla nostra incapacità di far sì che i comuni lavorino insieme: la Francia ci è riuscita”. E l’Italia? Soffre, tra le altre cose, di bulimia “classificatoria”: “E siamo in procinto di fare altre classificazioni, nel disegno di legge sulla montagna ce ne sono due. Le risorse negli ultimi cinque anni non sono mai state un problema, ma dopo un investimento di un miliardo di euro e 12 anni i dati dicono che siamo al 40% della spesa”. Una proposta, per il momento, arriva dal sindaco di Cortemilia Roberto Bodrito e trova concordi i presenti: un tavolo di confronto fra tutte le 124 aree interne d’Italia, per comprendere a che punto siamo a dieci anni dalla loro istituzione.