CUNEO - Avevamo bisogno di una polemica sull’autostrada del tartufo?

Il dibattito innescato da Barbero e Sacchetto è tipico di un Paese che si concepisce solo come patria del “mangia e bevi”. E dire che siamo stati (anche) molto altro

Andrea Cascioli 11/11/2023 16:55

La notizia è di tre giorni fa, ma vale la pena di ricapitolare per chi se la fosse persa: l’ultimo lotto dell’autostrada Asti-Cuneo è finalmente partito, e si arriverà così al completamento di quella che si intende ribattezzare Autostrada del Tartufo. “Per celebrare il frutto più prezioso dei territori di Monferrato, Roero e Langhe” aggiunge entusiasta il presidente della Regione Alberto Cirio.
 
Bene, dunque. Anzi no, perché non tutti sono d’accordo. Con l’autostrada? Anche, nel caso degli ambientalisti. Ma c’è chi ne fa una questione di denominazione: l’Autostrada del Tartufo è riduttiva, sostengono gli esponenti di Fratelli d’Italia Claudio Sacchetto e Federica Barbero Invernizzi. Meglio chiamarla “del tartufo e della carne Piemontese Igp”, dicono, perché passa per Carrù e perché “la battuta di carne Piemontese Igp con tartufo bianco d’Alba rappresenta uno dei piatti simbolo della nostra cucina”. A questo punto si potrebbe obiettare che lo è anche la bagna cauda (senza panna, beninteso), ma finora ci siamo risparmiati le intitolazioni ufficiali. E poi, si domanderà qualcuno, perché celebrare solo il tartufo e non la nocciola dell’Alta Langa o la castagna di Cuneo? Certo, chiamare un’infrastruttura automobilistica “Autostrada del Barolo” avrebbe fatto insorgere, a buon diritto, almeno la Polstrada (ma esiste già un’Autostrada dei Vini, la Torino-Brescia).
 
Ma allora perché non stilare un intero menù e mettere tutti d’accordo? Uniamo le denominazioni proposte in una portata: Autostrada della Battuta di Fassona Igp al Tartufo Bianco d’Alba, ad esempio. Avendo cura però di rappresentare tutto il pantheon gastronomico della Granda, dovremo aggiungere perlomeno acciughe al verde, tomini, ravioles al Castelmagno e bonet, se non vogliamo chiamare in causa la Nutella (è pur sempre un marchio registrato). E come potrebbe mancare il flan di porri: dimenticarsene, tanto più in questa stagione, sarebbe un affronto ai vegetariani e al senatore Bergesio.
 
Ora, ironie a parte, facendo un po’ di dietrologia ci si potrebbe limitare ad osservare che mancano sette mesi esatti alle regionali. Il ticket Sacchetto-Barbero pare lanciatissimo verso palazzo Lascaris, con ambizioni anche assessorili, se tutto andrà come i “fratelli” sperano. Nulla di male, insomma, se si sgomita un po’, con la certezza di guadagnare un titolo di giornale. Il fatto è che questa polemica è solo la punta di un iceberg, in un Paese dove ormai pare non esistere un solo motivo d’orgoglio e - diciamolo pure - di patriottismo, all’infuori dell’enogastronomia. Mettiamo le mani avanti: questa non vuole essere in alcun modo una tirata contro un settore che ha contribuito come pochi altri a rendere grande l’Italia e la provincia di Cuneo, come ha ben sottolineato un recente convegno di Confindustria. Ma sarebbe bene se ogni tanto ricordassimo a noi stessi, nella speranza che se ne ricordino anche gli altri, che prima di essere “quelli che non mettono l’ananas sulla pizza” siamo stati, tra le molte altre cose, la patria degli inventori della radio e del telefono. E anche del motore a scoppio, già che si parla di autostrade.
 
È vero che l’intitolazione a una figura storica, in quest’ultimo caso, non è mai stata in auge. Abbiamo già un’autostrada del Sole, dei Fiori, dei Laghi, del Mediterraneo e così via. Nel caso dell’Asti-Cuneo forse avrebbe avuto più senso rivolgersi alle Alpi, ma accettiamo di buon grado la trifola e non se ne parli più. Piuttosto, non sarebbe meglio dedicare tempo ed energie a proporre indirizzi sulla toponomastica che volino un po’ più alto della contesa tra tartufi e carne all’albese? È nei cinema proprio in questi giorni un film dedicato a Salvatore Todaro, una di quelle luminose figure della storia italiana che l’onta della guerra persa ha messo in ombra per interi decenni. E altrettanto si potrebbe dire, fuori dall’ambito militare, per un esploratore come Giuseppe Tucci, per il conquistatore del K2 Ardito Desio, o per un pioniere dimenticato dell’elettronica come l’italo-cinese Mario Tchou, e innumerevoli altri ancora. Sorprende che proprio da Fratelli d’Italia non giungano suggerimenti.
 
Certo, accontentandosi di incarnare il ruolo di Paese del “mangia e bevi” si evitano anche parecchi grattacapi. L’Italia vive il paradosso di aver vinto una guerra di cui oggi si vergogna e di averne persa un’altra che aveva provocato. Quindi ogni mossa che chiami in causa l’una o l’altra viene vista in cagnesco: a Cuneo, proprio nel centenario della vittoria nella Grande Guerra, si è deciso di “dimezzare” via Piave per ricavarne un’intitolazione a Nuto Revelli. Non che l’autore de Il mondo dei vinti non meritasse un riconoscimento nella sua patria, tutt’altro. Ma è emblematico che si sia scelto di sacrificare proprio quella memoria, ormai impolverata da un secolo di oblio, nella stessa città che un paio d’anni dopo si è preoccupata finanche di celebrare Black Lives Matter, movimento legato a una serie di proteste contingenti contro il governo Trump, di cui si è già perso il ricordo al primo cambio di colore della Casa Bianca.
 
Alle ottantennali polemiche su fascismo e antifascismo - rinfocolate da episodi recenti, come lo scontro su Sandro Pertini a Lucca - si uniscono quelle legate a sensibilità più recenti. Nel capoluogo della Granda c’è chi ha criticato l’intitolazione del nuovo parco a Ferruccio Parri, padre della Costituzione: sarebbe stata meglio una donna, si è detto. A Torino, pochi giorni fa, una consigliera vicina a Fridays for Future ha pianto alla notizia che la sua circoscrizione avrebbe dedicato un giardino al fondatore dell’Eni Enrico Mattei. E dire che insomma, lui pure “ha fatto anche cose buone”, per citare un noto adagio.
 
Parrà strano, ma per intitolare vie e piazze - e autostrade - serve anche un po’ di coraggio, o almeno di consapevolezza che qualcuno finirà scontentato. Eppure è proprio questa dote, molto più di altre, che servirebbe al ceto politico. “Beato quel popolo che ha bisogno di eroi” viene da dire, capovolgendo un’abusata citazione di Bertold Brecht. Specie se l’alternativa è tra la carne e il tartufo.

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