CUNEO - Calcio e dintorni: la Super League ha ucciso i nostri sogni e la nostra passione

Siamo ingenui, ma non tanto da credere che negli ultimi anni il mondo del pallone non girasse intorno a mere speculazioni economiche. Eppure...

Samuele Mattio 20/04/2021 17:22

 
"A regazzì, e mo' vo'o buco 'sto pallone”. La frase, pensata per uno spot della piattaforma televisiva Stream, si è con il tempo elevata allo status di moderno epigramma. Chi ha superato i trent’anni ricorderà la pubblicità ambientata nella suggestiva piazza dell’Anfiteatro di Lucca, tramutata grazie ai primi effetti speciali in un campo da calcio futuristico: un giovanissimo Fabio Cannavaro, incaricatosi di calciare una punizione, spedisce la sfera decisamente al di sopra della traversa, colpendo il vetro di una finestra. Passano pochi secondi e un signore dall’aspetto burbero apre l’anta e con forte accento romanesco libera la minaccia, ma sul rettangolo verde non c’è più nessuno. 
 
Nei primi anni del millennio a scimmiottare l’intimidazione goliardica per antonomasia era il classico brillantone che, visto un pallone nei paraggi, si lanciava con un sorriso verso i ragazzini di turno per fare il simpatico. Un tormentone nato vecchio, ma che dal 2006 in poi ha procurato una denuncia per stalking a tutti i burloni d’Italia, con una certa predilezione per i fafioché dalla forte inflessione piemontese che con scarso successo tentavano di sembrare osti di Trastevere. 
 
Se abbiamo rispolverato quella vecchia battuta lanciata dalla prima pay tv via cavo sul mercato italiano - oltreché per nostalgia -, è perché questa volta il pallone l’hanno bucato per davvero. A piantare un ago appuntito giù nel cuoio non è stato un buzzurro in canotta bianca, ma una camarilla di personaggi in giacca e cravatta che hanno lavorato, stavolta sì, con il favore delle tenebre. 
 
I quotidiani sportivi del vecchio continente hanno già ampiamente sviscerato il tema ‘Super League’ e francamente c’è poco da aggiungere, ma fateci dire una cosa.
 
Siamo ingenui, ma non tanto da credere che negli ultimi anni il mondo del calcio non girasse intorno a mere speculazioni economiche (di ogni tipo). Abbiamo resistito agli addii di Baggio, Del Piero e Maldini, e quando Totti ha smesso di giocare abbiamo pianto come se ci avessero ucciso un amico anche se non eravamo tifosi della Roma. D’altronde siamo sopravvissuti alla domenica spezzatino, alle quattordici partite nel Totocalcio, ai tornei ribattezzati con il nome di aziende. Non abbiamo mollato neanche dopo la SuperCoppa giocata in Cina, piuttosto che negli Usa o in Qatar - dopotutto di quella glien’è mai fregato niente a nessuno. 
 
Ora però è diverso, perché ad essere stata assassinata è l’essenza stessa del calcio: la capacità di far sognare. Fantasticare di vedere la propria squadra competere con i migliori e batterli, perché nel pallone tutto era possibile. Almeno fino a ieri: gli scudetti vinti dal Verona e dalla Sampdoria, la Coppa Italia dal Vicenza o, per pagare l’obolo ai lettori più giovani, che il Leicester di Claudio Ranieri vincesse la Premier League. E diciamolo, chi non ha mai immaginato di comprare un biglietto per Cuneo-Juventus in serie A allo stadio Fratelli Paschiero?
 
Tutto questo non c’è più, così come i nostri sogni e la nostra passione. Ci è rimasta una flebile speranza: che questo progetto deleterio fallisca miseramente. 
 
Poscritto: per dare più pathos alla chiusura avremmo aggiunto “e che chi ha collaborato a ideare tutto ciò venga condannato all’ergastolo”, ma pareva troppo. Anche se in cuor nostro…
 

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