CUNEO - Confindustria inaugura la sua “casa”. Bonomi: “Salario minimo? I nostri contratti sono i migliori”

Nell’ex Casa Betania i nuovi uffici dell’associazione. Presente il leader nazionale degli industriali, insieme al parterre di relatori vip da Paolo Crepet a Licia Colò

Andrea Cascioli 23/06/2022 16:27

Dopo quasi due anni esatti dall’inizio dei lavori, la Confindustria ha una nuova casa a Cuneo. Che è tale di nome e di fatto, dal momento che si tratta dell’edificio noto ai cuneesi - specie quelli delle generazioni più anziane - come Casa di Betania.
 
Il palazzo tra corso Dante e le attuali vie Bersezio, monsignor Peano e Bertano, inaugurato nell’agosto del 1940, ha ospitato fino al 2000 molte iniziative di formazione religiosa e culturale in quello che Giovanni Cerutti ha definito “il quartiere delle opere cattoliche”. Il calo degli iscritti ai movimenti cattolici e il declino dei corsi di esercizi spirituali ha portato poi alla cessione a un privato e alla successiva acquisizione da parte dell’Unione Industriale, all’epoca guidata da Antonio Antoniotti. Correva l’anno 2009, ma ne sono serviti altri tredici prima che gli industriali coronassero il sogno della nuova sede.
 
Lo hanno fatto stamani in grande stile, di fronte a tutte le autorità dal sindaco al vescovo, facendo precedere il taglio del nastro da un ciclo di interventi dedicato al tema dell’“Abitare i propri tempi”. Con relatori d’eccezione, dallo psichiatra Paolo Crepet alla conduttrice Licia Colò, passando per la direttrice della Cardiologia del “Santa Croce” Roberta Rossini, il rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco, l’imprenditore Marco Lavazza, il teologo Paolo Curtaz e il generale di corpo d’armata Giuseppenicola Tota. “Siamo chiamati a essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo umanesimo del lavoro, perché cresca un’economia di tutti e per tutti” dice il padrone di casa, il presidente provinciale degli industriali Mauro Gola. Gli fa eco il direttore generale Giuliana Cirio: “C’è un’impresa nuova che nasce sull’eredità ormai sepolta di un modello vecchio, attento solo al profitto: un’impresa umanistica che ha una consapevolezza ferma di essere un soggetto sociale. A noi piace un’impresa che dà un lavoro buono”.
 
Aria di cambiamento, insomma. In effetti, a sentire alcuni passaggi, più che un incontro imprenditoriale sembra a tratti di ascoltare un’assemblea dei no global di vent’anni fa: “La crisi del 2008 ci ha condotti a rimettere in discussione il paradigma turbocapitalistico che ci portava magari a produrre in Cina, perché costava meno e perché i diritti dei lavoratori erano più trascurati” ammette il rettore del Politecnico. Si spinge oltre il vicepresidente di Lavazza: “Il capitalismo che non tiene conto del benessere sociale è finito, la globalizzazione senza freni è un paradigma sbagliato. Avevamo avuto un violento risveglio già nel 2001, quando si pensava di poter esportare tutto, compresa la democrazia”.
 
Anche dal presidente nazionale di Confindustria Carlo Bonomi arrivano aperture inaspettate. Perfino sul reddito di cittadinanza, la bestia nera dell’imprenditoria organizzata: “Se è uno strumento di contrasto alla povertà siamo d’accordissimo, ma abbiamo sempre criticato le politiche attive connesse. È costato venti miliardi ed è stato rifinanziato con altri dieci, ma oggi siamo al punto che il ministro del Lavoro dovrà trovare un impiego a quelli che erano stati assunti per trovare lavoro agli altri, i navigator”. Quanto al salario minimo, assicura, non è la sua associazione a mettersi di traverso: “La maggior parte delle proposte in parlamento parla di un salario fissato intorno ai 9 euro lordi. I 58 contratti nazionali di Confindustria sono già tutti superiori a questa soglia: il problema non riguarda noi ma altri comparti, quelli dove non c’è contrattazione collettiva nazionale. Confindustria è anche l’organizzazione che paga di più nel settore metalmeccanico, chiediamoci perché i sindacati firmino accordi con associazioni che offrono meno”. Stesse osservazioni sulla questione dei rinnovi: “Si sente dire che sette milioni di italiani sono senza rinnovo di contratto. Non è colpa di Confindustria, perché il problema riguarda appena 242mila lavoratori delle nostre imprese. Nei miei due anni da presidente ho firmato già ventotto rinnovi. Dove sono gli altri? Si parla di 3,4 milioni di dipendenti nel settore dei servizi e 2,8 milioni nella pubblica amministrazione. In altre parole, il 40% dei contratti non rinnovati riguarda dipendenti dello Stato”.
 
Le bordate del leader degli industriali non risparmiano quota 100 (“costerà 28 miliardi di spesa previdenziale aggiuntiva fino al 2030”) e il superbonus 110% (“utile a un settore in crisi, ma lo si è fatto a detrimento dei pochi strumenti di politica industriale che avevamo come il piano Industria 4.0”). Più in generale, sostiene Bonomi, “il grande errore è la politica dei bonus e degli ‘una tantum’, dagli 80 euro in avanti. In undici anni abbiamo aumentato il debito pubblico di 800 miliardi: la spesa sociale è raddoppiata, ma i dati della povertà ci dicono che siamo passati da 2,1 milioni di poveri nel 2001 a 5,6 milioni nel 2021. Serve un’anagrafe della spesa sociale”. E serve soprattutto un “obiettivo Paese”: “I nostri padri hanno rifatto questa nazione perché avevano il sogno di dare un futuro ai loro figli, oggi di ascensore sociale non si parla più”.

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