La “Baviera d’Italia” esiste e resiste, nel senso letterale del termine. Tant’è che il tasso di disoccupazione nel 2024 in provincia di Cuneo si attesta al 2,8%, un dato in linea - appunto - con quello del prosperoso land germanico. I numeri del Rapporto Cuneo 2025, presentato stamane in Camera di Commercio, fotografano tendenze consolidate: un Pil che cresce dell’1,7% e raggiunge i 23,4 miliardi di euro, sostenuto dalle esportazioni che hanno sfondato il muro degli 11 miliardi. Un valore aggiunto pro capite pari a 35.943 euro che, ricorda il presidente della Camera di Commercio Luca Crosetto, “ci restituisce come negli anni passati il primato in tutto il Piemonte”. Tuttavia, riconosce il neoeletto presidente dell’ente camerale, alcuni segnali di rallentamento cominciano a farsi sentire: “Soprattutto nel primo trimestre 2025 le esportazioni hanno subito una brusca frenata e anche la congiuntura industriale appare più in difficoltà. Sarà importante attendere i dati del primo semestre, per capire se si tratti di un dato congiunturale oppure se sia l’inizio di una tendenza”. Calano i disoccupati, bene le aziende giovanili. L’imprenditoria è poco “rosa” Guardiamo i numeri, dunque. Cominciando dalla demografia che preoccupa più dell’economia. Al 1 gennaio 2025 la provincia registrava 581.676 residenti, circa il 13,7% del totale piemontese e l’1,01% nazionale: il bilancio demografico vede una sostanziale stazionarietà, conferma la referente dell’ufficio Studi e statistiche di Unioncamere Piemonte Sarah Bovini. La crescita dello 0,1% è frutto di due andamenti opposti, un saldo migratorio totale positivo che compensa il tasso di crescita naturale negativo: “È una popolazione anziana, ci sono 206 anziani ogni 100 giovani: un dato superiore alla media europea, ma leggermente inferiore alla media regionale. In termini di classe di età da anni abbiamo un ‘rombo’ anziché una piramide: vale anche per la popolazione straniera, dove però la parte più ampia del rombo riguarda le fasce dai 20 ai 40 anni anziché dai 40 ai 60”. Tutti gli indicatori mostrano una crescita, compresi quelli dei mercati esteri. Il Pil cuneese vale il 14,7% della “torta” regionale e l’1,1% di quella nazionale. Il manifatturiero e l’agricoltura continuano a pesare di più rispetto a quanto si osserva nel tessuto imprenditoriale piemontese: il settore primario, in particolare, vale il 4,2% della ricchezza a fronte di una media regionale dell’1,5%. Tra i settori che hanno performato meglio spicca l’industria alimentare e delle bevande, in crescita del 3,6%. Bene anche la metalmeccanica al contrario di quanto avviene nel resto del Piemonte. La flessione nel tessile appartiene a tutto il contesto regionale. La dinamica è negativa per l’agricoltura, fortemente positiva per turismo e servizi. Prosegue la tendenziale riduzione del numero delle imprese, ma non è per forza un male: “L’incidenza delle società di capitale oggi è quasi del 16%, dieci anni fa era del 10%: sono le aziende che crescono, sia a Cuneo che in Piemonte. Diminuiscono invece le società di persone e le imprese individuali”. La componente femminile dell’imprenditoria si attesta intorno al 22,15%: “Un dato leggermente più basso della media regionale, ma in linea”. Più bassa la componente degli stranieri, all’8,2% contro il 12,8% regionale. Il fiore all’occhiello? Le imprese giovanili: pesano per il 9,1%, sopra al dato nazionale dell’8,2%. La variazione di Cuneo sul mercato del lavoro è stata di debole entità: “Partiva già da un dato della disoccupazione sotto la soglia minima” evidenzia l’analista. Il tasso di occupazione provinciale si è infatti attestato al 70,5%, con uno +0,5 rispetto al 2023 e un +1,1% rispetto al 2019 (ultimo anno pre-pandemia). Il saldo occupazionale registra 2.533 posti di lavoro dipendente in più, trainato dalla componente degli stranieri (1.974 posizioni), a fronte di una flessione della componente italiana rispetto al 2023 (+559 posti). In termini contrattuali, il saldo è positivo solo per le assunzioni a tempo indeterminato che registrano l’incremento di 3.439 posizioni. “A fronte di una forte diminuzione del numero di disoccupati - aggiunge Bovini - c’è una piccola crescita degli inattivi, persone che non lavorano e non cercano. Esiste ancora un forte divario di genere tra l’occupazione maschile e giovanile, come in Piemonte e in Italia: siamo molto lontani dagli altri Paesi europei da questo punto di vista”. Abbastanza alto il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, al 49,3%. I mercati vicini alimentano le speranze: nel “cortile di casa” Ue il 62% dell’export Il commercio estero conferma la sua importanza per il Cuneese, coprendo una fetta superiore al 50% del prodotto interno lordo: la provincia ha generato il 18,5% dell’export regionale e l’1,8% di quello nazionale, registrando una crescita del 5,2% anche a fronte della flessione del 4,9% per il Piemonte e di un dato stazionario dell’Italia. La parte del leone la fa l’alimentare, che incide per il 36,3% e cresce del 7,6%. Buona incidenza anche dei mezzi di trasporto che pure hanno registrato una flessione, mentre la meccanica è andata bene. C’è una forte crescita dell’attività farmaceutica, che tuttavia pesa solo per lo 0,3% totale. Il 62% delle esportazioni cuneesi sono dirette verso i paesi Ue post Brexit, soprattutto in Francia e Germania: il dato francese è in flessione (-3,4%), mentre il flusso di merci verso la Germania segna +2,3%. Buoni i dati di Spagna e Polonia. Il primo mercato extra Ue restano gli Usa, al 6,2% e in crescita del 3,5%, bene anche il dato del Regno Unito e quello della Cina che ora si porta al 3,8%. “A livello italiano ci aspettiamo uno scenario migliore per le esportazioni nel 2026-27, dopo le montagne russe a cui siamo abituati da diversi mesi” dice Livia Simongini, senior specialist Sit (Strategie industriali territoriali) della società di ricerca Prometeia. La provincia di Cuneo è in linea con l’andamento regionale nelle previsioni: “Ma non possiamo attenderci le performance a cui Cuneo ci ha abituati, visto lo scenario internazionale”. Tra il 2025 e il 2028 ci si aspetta che l’export venga trainato dai principali settori, in particolare agroalimentare e meccanica, che presentano un incremento della domanda superiore alla media manifatturiera: sarà invece meno efficace il traino dell’automotive, come del sistema moda. Sono soprattutto i mercati vicini ad alimentare le speranze degli esportatori: “Quello che ci aspettiamo è una ripresa del commercio intra Ue, mentre meno significativo sarà l’apporto degli Stati Uniti”.