CUNEO - Doccia fredda sull’accoglienza migranti: “Il prefetto ha chiesto a diocesi e privati, nessuno ha risposto”

Il nodo del CAS da realizzare per 800 extracomunitari in arrivo. La sindaca di Cuneo chiude all’ipotesi Miac: l’altra opzione è l’area militare della ex Montezemolo

Andrea Cascioli 08/08/2023 08:10

Ci sono circa ottocento extracomunitari in arrivo, ma in provincia di Cuneo nessuno sa dove metterli. L’appello lanciato dal prefetto nelle settimane scorse è caduto nel vuoto: non hanno risposto le diocesi, né le associazioni del terzo settore, né gli enti del privato sociale.
 
“Condivido la sua amarezza” commenta la sindaca di Cuneo Patrizia Manassero, preoccupata per i possibili sviluppi della vicenda. Perché lei è tra quanti rischiano di trovarsi col cerino in mano, a subire scelte che la Prefettura potrebbe prendere con o senza l’approvazione delle amministrazioni locali. Serve uno spazio per realizzare un centro di accoglienza straordinario (Cas) dove dovrebbero passare ottocento degli ottomila richiedenti asilo che si prevede di smistare in Piemonte. Il prefetto Fabrizia Triolo ha sollecitato i comuni a individuare spazi idonei e ha chiesto in particolare al Comune di Cuneo di trovare posti per l’accoglienza temporanea, allungandola dalle attuali 36 ore a una settimana: dopo questo periodo, gli immigrati identificati verranno trasferiti in altri centri. Questo genere di attività per i richiedenti asilo viene da tempo svolta in un locale adiacente all’ex caserma Piglione di via Bongiovanni.
 
Dato che non ci sono spazi aggiuntivi pronti per la prima accoglienza, sono state fatte perlustrazioni in città e nei comuni vicini: a Cuneo le opzioni sono due. Una è il parcheggio all’esterno del Miac di Ronchi, l’altra è nell’area della ex caserma Montezemolo che il demanio militare non ha ancora ceduto. “Non sono locali pronti per l’accoglienza, ma posti dove andrebbero predisposti container o attendamenti” precisa Manassero: in altre parole, accampamenti. Va detto anche, aggiunge la prima cittadina, che “quattrocento delle 800 persone sono già qui e si è riusciti a garantirne l’ingresso grazie alla Croce Rossa e ai comuni di Centallo e Chiusa Pesio”.
 
Sull’ipotesi Ronchi c’è la contrarietà sia dell’azienda che dell’amministrazione: “Il prefetto sa qual è la mia posizione sul Miac, l’area non è adatta” conferma la sindaca. Ma non è detto che il Cas non trovi posto fuori Cuneo (un’altra opzione gettonata è la ex caserma Fiore di Borgo San Dalmazzo) e nemmeno che si faccia: “Se non ci saranno arrivi massivi - spiega ancora Manassero - è probabile che non verrà attivato nulla, altrimenti il prefetto opterà per quello più facilmente attrezzabile”. Un problema nel problema è quello degli eventuali arrivi di minori stranieri non accompagnati: oggi sono appena dodici nel territorio del Consorzio socio-assistenziale cuneese, ma pongono difficoltà di gestione imparagonabili a quelle degli altri immigrati. Lo testimonia il fatto che, nonostante i costi più elevati a carico dello Stato (45 euro al giorno riconosciuti), i bandi vanno di regola deserti.
 
Contro il Cas al Miac si registra, nella commissione convocata in fretta e furia dopo l’uscita di indiscrezioni sulla stampa, anche la contrarietà delle opposizioni. “È inammissibile collocare in un deserto come quello di fronte al Miac un numero così ingente di persone: ci vuole un’organizzazione più precisa” reclama Ugo Sturlese di Cuneo per i Beni Comuni. Ancora più drastico l’esponente della destra sociale Beppe Lauria: “Un conto è l’offerta di terreni dal Comune, altro è il coinvolgimento di una società ancorché pubblica”. Dall’ex aennino anche una stoccata ai compagni di strada di un tempo: “Fa sorridere che al tempo dei blocchi navali abbiamo a che fare con molti più migranti, così come la previsione di 450mila nuovi ingressi legati ai flussi”. “La città è disponibile a fare la sua parte, ma non con soluzioni che creano ulteriori difficoltà e che sono anche inumane: al caldo, in un posto squallido e senza un albero” sintetizza Giancarlo Boselli (Indipendenti).
 
 
La “patata bollente” della mensa Caritas: “Pronti ad adeguarla ai nuovi bisogni”
 
Un altro tema impostosi di prepotenza in queste ore è quello della gestione della mensa Caritas di via d’Azeglio. Dopo ripetute violenze che hanno spaventato sia i volontari che i frequentatori abituali, l’esasperazione è tale che i responsabili hanno deciso di chiuderla per un fine settimana: un segnale rivolto anche alle istituzioni, come spiega il direttore Enrico Manassero a Cuneodice.
 
Da mesi, fa sapere la sindaca, c’è un canale aperto per arrivare a quello che la Caritas vorrebbe realizzare: l’idea è raggiungere la produzione diretta del cibo, per avere la possibilità di far lavorare persone fragili all’interno della mensa e per avvicinare i menù alla sensibilità di chi la frequenta. Oggi l’amministrazione comunale sarà in Prefettura, insieme a Caritas, per un tavolo di ordine e sicurezza convocato appositamente: “La mensa è un servizio indispensabile e stiamo lavorando per renderlo più attuale. In passato serviva persone in condizioni di estrema indigenza o senza fissa dimora sul territorio, oggi l’utenza è cambiata”. A preoccupare è la presenza di quelle che Manassero definisce “persone fuori dai circuiti ordinari”: “Flussi anomali in arrivo dalla provincia e anche da Torino, che non c’entrano solo con la povertà e rendono complessa la gestione della mensa da parte dei volontari”.
 
 
I numeri dell’accoglienza in città e in provincia
 
Oggi la modalità di accoglienza principale di richiedenti asilo o di persone già titolate è il sistema Sai, già noto in passato prima con l’acronimo Siproimi e poi come Sprar. Cuneo è capofila di un progetto che prevede il finanziamento di 361 posti a cui è già stato riconosciuto il titolo di soggiorno, distribuiti in 23 comuni della provincia. Due sono i poli, uno facente capo a Mondovì (con 154 unità) e l’altro al capoluogo. Il solo bacino cuneese comprende anche Castelletto Stura, Montanera e Vignolo e ospita 101 beneficiari. Nell’ambito del Sistema di Accoglienza e Integrazione oltre a vitto e alloggio sono garantiti i corsi di lingua, l’assistenza per l’inserimento lavorativo e l’accompagnamento verso l’autonomia.
 
Il Comune ha anche sottoscritto con altri dieci centri il protocollo per l’accoglienza degli stagionali (ma i comuni coinvolti, in totale, sono trentadue). Oltre a una cinquantina di persone ospitate tramite la Croce Rossa, nel territorio ci sono 40 posti suddivisi in sei unità abitative: sono destinati a coloro che arrivano senza un contratto in mano, dunque non possono fruire dell’accoglienza in azienda, ma che si prevede inizino presto a lavorare. Il Punto .MEET del Comune offre tutto l’anno servizi per i ricongiungimenti familiari e il rinnovo dei permessi di soggiorno: nel periodo estivo c’è un infopoint dedicato ai braccianti stagionali, in collaborazione con Caritas e con i comuni firmatari del protocollo. Serve a mapparne la presenza, i contratti, i Paesi di provenienza e la realtà territoriale dei datori di lavoro.
 
Sono poi in erogazione nuove risorse regionali per gli stagionali tramite il progetto Common Ground, destinati anche a contrastare il caporalato: il capofila è la cooperativa Momo. La Regione partecipa anche ai piani salute con una linea di finanziamenti dedicata ai problemi sanitari, compresa la salute psichiatrica.

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