CUNEO - Dovremo dire addio alle stagioni sciistiche come le conosciamo?

Aumento delle temperature, mancanza d'acqua, costo dell'energia. La comunità scientifica concorda: per salvaguardare l'economia delle valli nei prossimi anni il settore andrà ripensato

Uno degli impianti della Riserva Bianca di Limone Piemonte fotografato venerdì 13 gennaio

Micol Maccario 13/01/2023 08:13

Siamo nel 2786 e l’Italia è diversa da come appare oggi ai nostri occhi. Venezia, Padova, Parma, Mantova, Piacenza non esistono più. La Pianura Padana è diventata parte del mar Adriatico. E fortunato chi avrà visitato prima di quell’anno Lecce, Bari, Pisa, Cagliari o Oristano perché nel 2786 saranno coperte dal mare. Questo è il mondo apocalittico presentato da Telmo Pievani e Mauro Varotto nel libro “Viaggio nell’Italia dell’antropocene”. È uno scenario fortunatamente giudicato per ora irrealistico, un mondo distopico che rischia di diventare plausibile se non ci sarà una drastica inversione di rotta.
 
Il 2022 è stato l’anno più caldo per l’Italia dal 1800 e non sono mancati i fenomeni climatici estremi. Secondo i dati riportati dal WWF, a luglio dell’estate scorsa ci sono stati 2,26 °C in più rispetto alla media italiana dal 1800 e solo un terzo delle precipitazioni. La comunità scientifica è d’accordo nell’affermare che la crisi climatica è ormai un dato di fatto. “L’anidride carbonica è aumentata di quasi il 150% rispetto ai livelli preindustriali, il metano del 262% e il protossido di azoto del 123%” scrive il WWF. 
 
Questa situazione non risparmia il Piemonte. Secondo i dati Arpa della Regione, il 2022 si era aperto con una temperatura media di 9,6 °C, un “valore superiore di 8,5°C alla norma del periodo 1991-2020 e picco assoluto per il primo giorno dell’anno”. Nel report pubblicato il 5 gennaio Arpa scrive che “la precipitazione cumulata dell’anno 2022 in Piemonte è stata di 611,9 mm, con un deficit pluviometrico di -417,6 mm (pari al 41%) nei confronti della media climatica del trentennio 1991-2020”. Il fenomeno della siccità non è una novità, già la stagione invernale 2021-2022 era stata caratterizzata da frequenti giornate secche.  
 
I fenomeni della Granda confermano la tendenza generale. Nel 2022 sulle terre della provincia Cuneese è caduto il 50% di acqua in meno rispetto alla media degli anni passati secondo i dati riportati da Coldiretti Cuneo pubblicati il 4 gennaio. La siccità ha effetti drammatici sull’ambiente, sull’agricoltura e sul turismo invernale. La neve è inoltre fondamentale per il recupero delle risorse idriche in quota, dato che i pochi ghiacciai rimasti rimpiccioliscono a vista d’occhio. “La neve caduta a metà dicembre su tutta la Granda fino in pianura non è certo stata risolutiva della crisi idrica in atto, che resta prioritaria” riporta Coldiretti.
 
Secondo l’Eurac Research di Bolzano se continueremo così, senza adottare politiche climatiche efficaci, a fine secolo finiremo per avere “solo la metà di giorni di neve con ripercussioni su fiumi, ecosistemi e turismo invernale”. Gli esperti dell’Eurac affermano che se la tendenza non si arresterà le temperature continueranno ad aumentare e si modificherà la distribuzione delle precipitazioni. Teorizzano un aumento delle precipitazioni invernali sulle Alpi, ma pioverà invece che nevicare: “Alle quote più alte, maggiori precipitazioni potrebbero voler dire più neve in pieno inverno, ma la stagione sarà comunque più breve: le temperature più alte faranno sì che la neve cada più tardi in autunno e si sciolga prima e più velocemente in primavera”. In generale, la neve diminuirà ovunque in Italia in tutti i periodi dell’anno. Alcuni ricercatori hanno analizzato “le prospettive climatiche degli impianti sciistici che fino a oggi hanno ospitato una o più edizioni delle Olimpiadi invernali. In uno scenario ottimistico soltanto 13 dei 21 impianti osservati sarebbero in grado di ripetere l’esperienza nel 2050”, riporta Legambiente. Gli scienziati dell’Eurac affermano che, se la situazione non cambierà, “le condizioni attuali di copertura nevosa potrebbero spostarsi più in alto di 500-1000 metri, cioè nel 2100 le condizioni della neve a 2000 metri corrisponderanno a quelle che si trovano oggi a 1000-1500 metri”. Sarà un grave problema per l’ambiente, senza tralasciare la questione economica. Che ne sarà quindi dei nostri impianti sciistici?
 
Certo, è possibile ricorrere alla neve artificiale se l’obiettivo è quello di permettere alle persone di sciare. Ma per produrre la neve servono determinate condizioni meteorologiche: l’aria deve essere fredda e secca. La creazione di neve artificiale poi prevede un elevato consumo di acqua e di energia e sappiamo bene che, in questo momento, abbiamo problemi con entrambe. La Regione Piemonte stanzia più di 6 milioni di euro all’anno per sostenere la produzione di neve artificiale.
È necessario “capire con scienziati ed esperti di climatologia quanto ha senso investire risorse economiche, statali e regionali, in innevamento artificiale o in nuovi impianti di risalita sotto certe quote altimetriche, in certe valli”, ha detto il presidente dell’Uncem Marco Bussone.
 
Come stanno gli impianti sciistici?
Il turismo invernale continua ad attirare molti turisti. Cuneo Neve afferma che dall’8 dicembre all’8 gennaio sono stati registrati 210 mila primi ingressi. Ma per quanto sarà ancora così? Dando uno sguardo all’Italia la situazione non appare rosea. Il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha chiesto un piano straordinario per far fronte all’emergenza. L’Abetone in Toscana appare sempre più verde, la stessa situazione si verifica nelle Marche. L’Appennino è privo di neve. 
 
Le stazioni sciistiche minori del Piemonte sono chiuse. Alcune avevano aperto ma sono state costrette a chiudere, altre non ci hanno nemmeno provato. L’impianto della Riserva Bianca di Limone è aperto, anche se non tutte le piste sono accessibili. A Pragelato, a inizio dicembre, la tappa di Coppa Europa di fondo è stata annullata. Hanno inciso sulla decisione le alte temperature e alcuni problemi di tipo burocratico sul prelievo di acqua dal bacino artificiale.
 
C’è chi parla di ripensare lo sci, investendo in una transizione verso diverse e sostenibili forme di turismo montano. “Le località sotto i 1800 metri di quota sono da destinare a nuove forme di turismo oltre lo sci da discesa e non c’è più motivo che siano mantenuti i contributi per lo sci alpino. - afferma Sebastiano Venneri, responsabile turismo di Legambiente - Per le altre stazioni più in quota, gli investimenti dovrebbero essere indirizzati a un processo di diversificazione”. Venneri sostiene che sia necessario costruire una proposta innovativa che sappia integrare la stagione invernale con “pratiche soft” che garantiscano la fruizione del territorio anche in assenza di neve. 
 
In realtà, la riorganizzazione della montagna non è una novità in altri luoghi fuori dalla provincia Granda. Nel Modenese, a Sestola, le seggiovie sono state riconvertite dal 2011 a trasporto delle bici da downhill, una tipologia di mountain biking che si pratica principalmente in montagna. A questo si aggiungono il trekking, l’enogastronomia e il relax.
 
Quando si parla di mancanza di neve è naturale fare una correlazione con il cambiamento climatico. E no, non significa fare allarmismo. Significa prendere consapevolezza di ciò che sta accadendo e trovare strategie per far fronte al problema, adottando comportamenti che vadano verso una soluzione della questione e, se necessario, intraprendendo vie alternative al fine di garantire il turismo e lo sport montano.

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