Riceviamo e pubblichiamo.
Egregio Direttore,
ci hanno riferito che a Cuneo si sono trovati al bar quattro amici ex comunisti che, preoccupati della “digestione democratica della tradizione politica fascista”, vogliono combattere il governo Meloni con “un’ampia mobilitazione trasversale, politica, sindacale e civica” per i referendum che riguardano “le vite reali”. A questo proposito - tra una bevuta e l’altra - hanno redatto una strampalata, lamentosa comunicazione contro la decisione degli aderenti alla destra di non andare a votare.
Le motivazioni sono state elencate sfornando il meglio con linguaggio approssimativo e con la bava alla bocca per colpire la mente e la fantasia dei grandi e dei ragazzi, dei residenti extracomunitari già inclusi e di quelli ancora esclusi. I termini sono: “nuovi e vecchi fascisti”, “visione inquietante, sbagliata e pericolosa”, “miserabile fuga dal confronto”, “non amore per il voto”, e tanto per fare vedere che sono andati a scuola hanno espresso anche la definizione “coming out”.
Dicono che i referendum dell’8 e 9 giugno non sono una strumentalizzazione politica, ma “il risultato di un’ampia mobilitazione trasversale, politica, sindacale e civica”. Ma allora che paura hanno di non avere la maggioranza per il quorum dei votanti tanto da implorare il voto degli italiani? Per la prima volta nella storia elettorale a Cuneo si è arrivati a organizzare assemblee di istituti scolastici per istruire studenti, docenti, genitori e personale vario a sostegno dei quesiti referendari.
Precisiamo che i problemi del mondo del lavoro se vogliamo risolverli si affrontano in Parlamento, non attraverso l’arma spuntata dei referendum abrogativi, come dimostra l’esperienza storica. Se non c’è sensibilità e volontà politica dei partiti, non cambia niente. In pratica, i referendum rimangono solo una avvertenza a disposizione della propaganda.
È significativo andare indietro nel tempo e constatare come questioni analoghe si ripropongono a distanza di anni. Per esempio, notate cosa si leggeva nei titoli a tutta pagina sui quotidiani italiani oltre 50 anni fa. “Corriere della Sera” 4 agosto 1973: “La salute e la sicurezza nelle fabbriche italiane. L’industria dell''omicidio bianco' - Un infortunio ogni 20 secondi e un morto ogni due ore sono l’altra faccia della nostra produzione. L’inefficienza degli istituti mutui-assistenziali, una legislazione vecchia e incompleta, un inadeguato organismo di controllo hanno fatto bollare il nostro sistema con il marchio di 'istigazione a delinquere'”.
Altro esempio, l’Unità del 24 settembre 1974 pubblicava in prima pagina: “Occupazione, salari, sviluppo al centro della lotta sindacale – Rivendicazioni immediate legate alla più generale strategia delle riforme“.
Infine, il diritto di cittadinanza è una questione che investe il congruo periodo di tempo per integrarsi e sentirsi italiani. La cittadinanza deve restare il riconoscimento del raggiunto senso di appartenenza ad una comunità, ai suoi valori, alla sua storia, alle sue tradizioni. La cittadinanza non è solo padronanza della lingua, ma è sentirsi parte di un popolo.
Detto questo respingiamo i lamenti della sinistra che vuole insegnare come dare un voto da utilizzare per la sua lotta al governo di centrodestra.
Paolo Chiarenza
Busca