Cosa farà Fondazione Crc dopo l’approvazione del nuovo protocollo tra il ministero dell’Economia delle Finanze e l’Acri, ovvero l’associazione delle casse di risparmio italiane? La domanda è arrivata per scritto al piano nobile di palazzo Vitale, sottoscritta dai sindaci delle tre città “azioniste di maggioranza” nella compagine della fondazione, ovvero Cuneo, Alba e Mondovì. In tono garbato ma fermo, Patrizia Manassero, Alberto Gatto e Luca Robaldo ricordano al Consiglio generale della fondazione che gli enti locali “consentono il reale coinvolgimento del territorio, attraverso termini di trasparenza e pubblicità a tutela dell'autonomia della Fondazione stessa”, e che “in qualità di stakeholder contribuiscono alla miglior valutazione delle scelte strategiche e possono contribuire a fornire indirizzi utili”. Una premessa utile a domandare l’indicazione di una data utile per un incontro “al quale intendiamo invitare anche i colleghi sindaci dei Comuni facenti parte le aree costitutive della Fondazione e chiamati a svolgere le designazioni nei prossimi anni”. Il tema insomma è sentito, e non è difficile capire il perché. Il cosiddetto “addendum”, ovvero il protocollo firmato da Mef e Acri, non si limita infatti ad aggiornare i limiti alle partecipazioni che le fondazioni possono detenere nelle banche, ma introduce novità potenzialmente dirompenti riguardo alla loro governance. In particolare è prevista la possibilità di allungare il mandato dei presidenti e dei consigli generali, dagli attuali quattro anni fino a sei. Ipotesi che aprirebbe alla possibilità di un doppio mandato di presidente e consiglieri esteso alla bellezza di dodici anni, cioè più di due consiliature comunali intere. Va detto che l’allungamento delle scadenze dei vertici non è automatico, ma opzionale. Il presidente di Fondazione Crc Mauro Gola ha ricordato che il termine per esprimersi in merito è di un anno e che lo farà solo dopo aver ascoltato le reazioni del territorio. Finora tutt’altro che entusiastiche, va detto. Nel capoluogo per esempio si è parlato del tema in due sedute successive del Consiglio comunale, sempre su iniziativa di Giancarlo Boselli. Il capogruppo di Indipendenti, in particolare, ha chiesto di aprire il confronto in commissione, valutando la disponibilità offerta dal presidente Gola: “Gli enti locali negli ultimi quarant’anni hanno delegato funzioni dirette del comune ad altri enti, organi e società partecipate: che coloro che sono nominati dicano se gli va bene stare lì sei o dodici anni non è aspetto di poco conto”. “Non sono così preoccupato della possibilità che si possa addivenire a una modifica statutaria di questo tipo, sono decisamente più preoccupato di quanto abbiamo accettato fino a ieri” ha osservato invece Beppe Lauria (Indipendenza!), alludendo all’obbligo preventivo di dimissioni per gli amministratori comunali che entrano in Consiglio generale e ai limiti anagrafici: “Come se l’età fosse un problema rispetto alla lottizzazione che da sempre avviene in quella struttura”. Accenti critici analoghi a quelli di Boselli sono arrivati da Ugo Sturlese (Cuneo per i Beni Comuni) e Claudio Bongiovanni (Cuneo Mia): “Mi sembra che in questo caso l’‘autonomia’ delle fondazioni possa diventare potere esorbitante rispetto agli organi elettivi: dodici anni significa coprire tre consiliature” ha osservato il primo. La sindaca Manassero vede la questione in termini negativi anche per altri motivi: “Non è tanto l’allungamento dei termini che preoccupa, ma il disallineamento tra la presidenza, il consiglio generale e il consiglio di amministrazione: porta a un disordine tra gli enti di indirizzo e la fondazione che può alterare la relazione tra gli enti di nomina e la fondazione. Abbiamo espresso questa preoccupazione con gli altri sindaci e chiesto al presidente di valutarla”.