CUNEO - Il cammino della comunità nelle valli cuneesi

La straordinaria attualità delle riflessioni di Adriano Olivetti

d.b. 03/04/2023 07:46

“Comunità” è una di quelle parole che oggi piacciono molto, soprattutto agli intellettuali. Aggiunta a qualsiasi altro termine, sembra conferirgli una maggiore credibilità e autorevolezza. È nella top ten dei termini più trendy insieme a sostenibilità, inclusione, innovazione. Si parla sempre più spesso, infatti, di cooperativa di comunità, di teatro di comunità, di ospedale di comunità, di scuola di comunità. Qualche anno fa, tuttavia, si è preferito sostituire a “comunità” il termine “unione”: la Comunità Europea è diventata Unione Europea, le Comunità montane sono diventate Unioni montane, quasi come se “unione” fosse un’espressione più forte di “comunità”. Abbaglio evidente, almeno nel caso delle Unioni montane… La legge n. 11 del 28/09/2012 della Regione Piemonte, detta anche legge Maccanti, è stata infatti una delle peggiori sciagure per i territori montani, privandoli di quelle Comunità montane che si erano rivelate validi strumenti di governance e di superamento dei campanilismi comunali.
 
E proprio intorno all’idea di comunità si sta giocando il futuro delle valli alpine, almeno di quelle cuneesi. È necessario ridefinirne il significato, in contesti in cui lo spopolamento ha progressivamente svuotato e deprivato il senso tradizionale della parola. Il dibattito è in pieno svolgimento: qualcuno vorrebbe far coincidere la comunità con i residenti di lungo periodo, qualcuno vorrebbe aprirla ai “neo-montanari”, qualcuno pensa anche che possano costituirsi nuove comunità formate da persone che arrivano da altri territori. A  tutti i protagonisti del dibattito vorremmo proporre (o riproporre) la lettura di un agile volumetto pubblicato da Adriano Olivetti nel 1959: "Il cammino della comunità", che conserva ancora oggi intatta tutta la sua forza rivoluzionaria.
 
A partire dalle prime parole: "Milioni di italiani attendono con ansia crescente un rinnovamento materiale e morale. Sebbene questo possa dirsi in cammino per i vari segni che le forze dei giovani ci indicano, riempiendoci di speranza, esso trova innanzi a sé forze negative di cui conosciamo ormai fin troppo bene la struttura cancerosa, la volontà testarda, la natura corrotta". Siamo nel 1959 o nel 2023? Sono riflessioni che valevano 65 anni anni fa come valgono adesso, purtroppo. Olivetti non si limita ad un’analisi dei mali del sistema politico italiano, evidenti già a pochi anni dall’entrata in vigore della nuova Costituzione, ma propone una soluzione che cerca di attuare concretamente a partire dal territorio in cui viveva, il Canavese. La nostra ansia di riscatto ha preso una forma e un nome nuovo: Comunità. Comunità è un movimento che tende a unire, non a dividere, tende a collaborare, desidera insegnare, mira a costruire. Come si può non pensare alle endemiche divisioni (politiche e amministrative) che da troppo tempo caratterizzano la vita delle nostre valli? "La nostra Comunità – prosegue Olivetti – dovrà essere concreta, visibile, tangibile, una Comunità né troppo grande, né troppo piccola, territorialmente definita, dotata di vasti poteri, che dia a tutte le attività quell’indispensabile coordinamento, quell’efficienza, quel rispetto della personalità umana, della cultura e dell’arte che la civiltà dell’uomo ha realizzato nei suoi luoghi migliori".
 
Olivetti dà anche precise indicazioni sulle dimensioni e sulla composizione stessa di una Comunità, e proprio queste sue parole potrebbero aiutare la riflessione di chi si sta oggi arrovellando sul concetto di comunità: una comunità troppo piccola è incapace di permettere uno sviluppo sufficiente dell’uomo e della Comunità stessa; all’opposto le grandi metropoli atomizzano l’uomo e lo depersonalizzano: fra le due si trova l’optimum… In un’altra sua opera, “L’ordine politico delle Comunità”, del 1945, precisa che "La loro popolazione potrà oscillare tra i settantacinque e i centocinquantamila abitanti, che è la dimensione del Canavese". Più o meno la dimensione delle attuali Terre del Monviso, in area cuneese.
 
Quali sono i confini, i limiti di una Comunità? La natura, il paesaggio, i monti, i laghi, il mare creano con i nostri fratelli i limiti della nostra Comunità. Affezionandoci a essa ci sentiamo più vicini al luogo migliore della nostra anima, ci sentiamo più vicini al mondo dello spirito, al silenzio dell’eterno. Per Adriano Olivetti bisogna capovolgere i “sistemi congegnati e intrapresi dagli uomini della politica", che vorrebbero risanare la situazione e trovare la soluzione dall’alto, attraverso la penombra delle commissioni, mediante una rifondazione dello stato dal basso e dal piccolo.
 
Nello schema della Comunità sono essenziali i Centri Comunitari, considerati da Olivetti vere cellule democratiche. L’istituzione, nel 1949, dei primi Centri Comunitari o della “Comunità” nel Canavese sono, nelle intenzioni di Adriano, un iniziale passo verso tale ordine. I Centri diventano non solo un luogo d’incontro aperto e indipendente per le persone del luogo, ma anche uno spazio per l’espressione libera delle loro idee e per l’organizzazione delle attività, per la formazione culturale e politica aperto a tutti. Saranno più di 50 nel 1959, alla vigilia della morte di Olivetti, avvenuta nel febbraio del 1960. Il ventaglio di attività praticate, a partire dal settore culturale, comprendeva, oltre all’analisi della politica locale e nazionale, corsi di lingua straniera, professionali (taglio e cucito, steno-dattilografia, ecc.), proiezioni di filmati e audizioni di musica, dibattiti su temi a richiesta introdotti da esperti della materia. Anche lo sport e le attività ricreative rientravano tra gli impegni dei Centri, comprese feste danzanti, gioco delle carte e gite.
 
La prematura morte di Adriano Olivetti, quando non era ancora del tutto compiuto il disegno politico che riguardava il tema della Comunità, decretò la fine dei Centri Comunitari, che chiusero quasi tutti tra il 1963 e il 1964, soprattutto per il venir meno dei fondi che Olivetti assicurava loro tramite il Movimento Comunità, da lui stesso fondato e diventato anche un partito politico. Purtroppo nessuno fu in grado di portare avanti il suo progetto.
 
"Se non si andranno formando nel prossimo decennio (1950-1960, nda) nuove autorità largamente decentrate e seriamente democratiche, responsabili e animatrici delle multiformi espressioni dell’ingegno e della cultura, la società italiana rischierà una rapida involuzione, soggiacendo inespressa al dominio onnipotente dello stato, il quale può continuare a ingannare se stesso e il paese facendo credere indispensabile e necessario che ogni progetto nasca e sia controllato dalla capitale". Parole profetiche. Il decentramento amministrativo in Italia è ancora oggi un groviglio inestricabile: sono state create con forte ritardo le Regioni nel 1970, istituite le Comunità Montane nel 1971, poi fortemente limitate le Province e soppresse le Comunità montane nel 2012, con un dibattito politico da sempre incagliato sul tema del federalismo. Nel frattempo la fragilità del sistema amministrativo italiano rischia di farci perdere i fondi del PNRR.
 

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