CUNEO - "Il Cerialdo è considerato dai detenuti un carcere 'punitivo', ma la situazione sta migliorando"

Parla il Garante regionale dei detenuti Bruno Mellano, dopo l'inchiesta che ha coinvolto 23 agenti della Penitenziaria in servizio a Cuneo, accusati di tortura, lesioni e abuso di potere

Bruno Mellano

Andrea Dalmasso 13/10/2023 13:32

Che il carcere del Cerialdo sia percepito come ‘punitivo’ dai detenuti è una valutazione oggettiva. Parliamo di un penitenziario che negli anni ’70 e ’80 era di massima sicurezza, una struttura dove venivano detenuti anche dei terroristi. C’è un substrato importante, Cuneo ha una storia importante nell’ambito dell’esecuzione penale italiana”. A parlare è Bruno Mellano, dal 2014 Garante regionale dei detenuti per il Piemonte. Il carcere cuneese è finito al centro delle cronache negli ultimi giorni, a causa di presunti episodi di violenze e umiliazioni sui quali sta indagando la Procura: sotto inchiesta 23 agenti e ufficiali penitenziari della casa circondariale di Cerialdo, accusati dei reati di tortura, abuso di potere nei confronti di detenuti e lesioni.
 
L’episodio più grave è quello che sarebbe avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 giugno, quando diversi poliziotti, in quel momento fuori servizio, si sarebbero introdotti nella cella 417 del padiglione “Gesso” per una vera e propria spedizione punitiva. Vittime del pestaggio cinque detenuti di origine pakistana, colpiti con calci e pugni al volto: la loro colpa era quella di aver protestato, battendo sui blindi, perché un altro recluso nella vicina cella 416 lamentava forti dolori alla gamba e aveva chiesto più volte, senza risultato, di essere visitato in infermeria. Negli atti della Procura si parla di un “trattamento inumano e degradante per la persona”, tale da causare anche un “verificabile trauma psichico” ai detenuti aggrediti.
 
A prescindere da questi episodi, è oggettivo, spiega Mellano, che il carcere di Cuneo sia destinazione particolarmente sgradita per i detenuti: “È uno dei dodici penitenziari italiani dotati di una sezione per il 41 bis: si tratta di reparti che hanno regole autonome, gestiti da un gruppo autonomi di agenti, il Gruppo Operativo Mobile. Forse è inevitabile, in qualche misura, che questo regime più duro per osmosi contagi il resto della struttura, dove ci sono detenuti ‘comuni’, che scontano anche pene ridotte”.
 
Una fama, quella del carcere cuneese, che si sarebbe in qualche modo “autoalimentata” negli anni. “L’amministrazione penitenziaria sposta spesso detenuti di istituto in istituto: spesso chi ‘fa casino’ viene trasferito”. La “nomea” del Cerialdo, insomma, avrebbe spesso indotto le amministrazioni carcerarie a indirizzarvi i detenuti più problematici, accentuando le situazioni di disagio.
 
Negli ultimi anni, però, si sta lavorando per superare questa etichetta che il penitenziario cuneese si porta dietro: “Le direzioni che si sono succedute negli ultimi anni conoscevano questa fama del Cerialdo e obiettivamente hanno messo in campo progetti importanti. Penso all’accordo con l’istituto Alberghiero, a quello con la scuola agraria, oppure al progetto sul pane, con la cooperativa Panatè, con cui si produce pane all’interno del carcere. La situazione sta senz’altro migliorando”, spiega Mellano.
 
Il carcere del Cerialdo, contrariamente ad altri penitenziari italiani, non è sovraffollato: a giugno si contavano 315 detenuti su una capienza totale di 433. Il padiglione storico, quello denominato ‘Stura’, è stato chiuso dodici anni fa per lavori di ristrutturazione: “Ora è tornato in funzione con spazi molto più adeguati: corridoi ampi, celle luminose dotate di doccia”, spiega il garante regionale. Nonostante questo, un problema di spazi esiste: “Bisogna considerare che 53 posti non sono agibili, il padiglione ‘Cerialdo’ utilizza solo due piani su quattro”, dice Mellano.
 
I problemi veri, però, sono nel padiglione “Gesso”, dove in celle da appena nove metri quadrati convivono quattro detenuti. Per molti degli ospiti questo è il padiglione “Cesso”: “Il problema, però, non è tanto delle celle. Se devi starci solo per dormire possono anche andare bene. Nel padiglione però non ci sono molti spazi per le varie attività, quindi i detenuti trascorrono in cella gran parte delle loro giornate. Anche gli spazi per l’ora d’aria sono molto ristretti. Sembra quasi che quando è stato costruito il padiglione si fossero dimenticati degli spazi per l’ora d’aria”. Di queste e altre problematiche ora diventate di attualità aveva già parlato un ex detenuto alcuni mesi fa, durante una puntata di “Radio Carcere”, trasmissione che va in onda su Radio Radicale.
 
Le condizioni dei detenuti all’interno del carcere cuneese, come detto, sono ora finite al centro del dibattito con l’inchiesta che vede indagati 23 agenti della Polizia Penitenziaria. C’era già stato il sentore di episodi di questo genere? “Il ruolo del garante è entrare nelle strutture, vedere, sentire, valutare: di racconti ce ne sono sempre tanti, c’è chi si sente il ‘nuovo Enzo Tortora’,ma noi abbiamo anche il compito di soppesare le affermazioni. Alcune cose che non tornano vengono verificate con i vari direttori e le amministrazioni penitenziarie, in altri casi invece è necessario andare oltre, segnalando alle Procure”. Eventualità, quest’ultima, che si è insomma resa necessaria per gli episodi finiti sotto la lente della Procura cuneese.
 
In chiusura, un’opinione sul reato di tortura, messo spesso in discussione e divenuto anche terreno di scontro a livello politico: “L’Italia ci ha messo anni a tradurre nel suo ordinamento la convenzione che aveva firmato a questo proposito a livello internazionale. Io penso che sia fondamentale per un paese civile avere una regolamentazione chiara sulla tortura e sull’uso legittimo della forza. La norma non è stata scritta in un modo chiarissimo, forse era meglio recuperare banalmente il testo della convenzione internazionale. Come succede spesso in Italia le norme assumono una precisa fisionomia solo nell’interpretazione dei magistrati. Spero che si arrivi ad una chiarezza della fattispecie e che quindi gli stessi operatori penitenziari possano sapere qual è il confine delle cose che si possono e non possono fare. Alcune cose sono banali: non c’è bisogno di una norma specifica per definire come illegittimi certi comportamenti, ma il reato di tortura rappresenta un’aggravante forte per un certo tipo di condotte. È opportuno che questo reato esista, ma va definito con più chiarezza”.

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