CUNEO - Il Coronavirus e quei segnali positivi che lo sport non riesce a dare

Nel momento in cui serviva un messaggio di unità e compattezza, il mondo sportivo italiano non ha saputo ergersi ad esempio, come invece aveva saputo fare in altri momenti bui della storia italiana

Andrea Dalmasso 09/03/2020 10:46

Ci sono stati diversi momenti, nella storia italiana, in cui lo sport ha smesso di essere semplicemente sport assumendo un ruolo e un significato più importanti, diventando vero e proprio collante in grado di compattare la popolazione e unirla sotto la stessa bandiera, indicando in qualche modo la luce in fondo al tunnel di un periodo buio. È opinione diffusa che le imprese del Grande Torino, nella seconda metà degli anni ’40, rinfrancarono un paese che stava curando le ferite della Seconda Guerra Mondiale. E ancora, per molti nell’estate del 1948 la vittoria di Gino Bartali al Tour de France fu fondamentale per placare le tensioni seguite all’attentato a Palmiro Togliatti e scongiurare una sommossa popolare.
 
Oggi invece, in piena emergenza Coronavirus, lo sport non riesce ad uscire dalle logiche che ne regolano la gestione e l’andamento in periodi “normali”, non riesce a mettere da parte le divisioni che lo caratterizzano. Non riesce a dare quel segnale di unità che tanto servirebbe in uno dei momenti più difficili della storia recente del paese, sprecando così un patrimonio di visibilità che pochi altri “mondi” possono vantare. È ben nota l’importanza che gli italiani danno allo sport, il calcio in primis: un’importanza talvolta eccessiva, ma che in questo preciso momento storico permetterebbe di avere una vetrina senza eguali attraverso la quale veicolare i messaggi che è necessario diffondere. L’autonomia che il Governo ha scelto di concedere alle singole federazioni relativamente alla prosecuzione delle attività, invece, ha generato una situazione caotica dando vita a segnali confusi e contrastanti.
 
Così, mentre il calcio dilettantistico in Piemonte si fermava e in Serie C molte partite venivano rinviate, fino a pochi giorni fa la Serie B giocava a porte aperte, anche a pochi chilometri dalle “zone rosse”, il tutto mentre la Serie A metteva in scena un pietoso teatrino fatto di accuse reciproche tra Federazione e società, di rimbalzi di responsabilità, con quella sensazione sgradevole causata dalla salute pubblica messa sempre in secondo piano rispetto agli interessi economici (comunque da tenere in considerazione, ricordando che il calcio è una delle prime industrie del paese). Emblematico anche il caso della pallavolo, con la Lega Serie A femminile che decide di fermare i campionati (con le squadre già pronte a scendere in campo anche dopo lunghe trasferte) mentre i tornei maschili proseguono a porte chiuse. Si è fermato il basket, così come le corse ciclistiche, la pallanuoto prosegue a porte chiuse. Il tutto non senza quelle polemiche che da sempre caratterizzano lo sport italiano, ma che in questo momento avrebbero senz’altro dovuto essere evitate.
 
Nel momento in cui serviva un messaggio di unità, insomma, lo sport non ha saputo compattarsi, in una direzione o in un’altra, non ha saputo (per ora) ergersi a simbolo per il paese come accaduto altre volte. Lo sport italiano, ai tempi del Coronavirus, non ha saputo rappresentare un esempio positivo, in un momento in cui di esempi positivi c’è bisogno più che mai.

Notizie interessanti:

Vedi altro