ALBA - Il grillino Barillari a testa bassa contro la Ferrero: ‘Sfrutta i lavoratori turchi’

Un tweet del consigliere regionale laziale del M5S, scaturito da un reportage del Fatto, scatena il putiferio. Ancora nessuna risposta dall’azienda di Alba

Andrea Cascioli 22/08/2019 10:31


Davide Barillari è un consigliere regionale del Movimento 5 Stelle nel Lazio. Un grillino agguerrito, di quelli che fanno spesso parlare di sé: nel dibattito sui vaccini, ad esempio, dove ha sovente incrociato la lama con il medico Roberto Burioni e altri sostenitori dei nuovi obblighi vaccinali imposti dal decreto Lorenzin.

In questi giorni è impegnatissimo a contrastare la possibile intesa tra M5S e Partito Democratico, forte di oltre sei anni di opposizione serrata a Zingaretti come presidente di Regione, ma tra un post e l’altro ieri ha pubblicato sul suo profilo Twitter una singolare denuncia: “Nutella, buona. Poi scopri che il fatturato della Ferrero è di 10,7 miliardi e condanna i lavoratori alla fame (15 euro al giorno di paga). Io non compro più nessun prodotto che calpesta i diritti dei lavoratori!”. Apriti cielo.

La chiamata al boicottaggio della crema spalmabile più famosa al mondo e dell’azienda albese, popolarissima anche sui social, ha suscitato un’insurrezione tra gli internauti. Certo, non manca chi difende la posizione del consigliere, appellandosi alla controversia sull’olio di palma che vide coinvolta (tra le altre multinazionali) la Ferrero, ma sono molte di più le critiche dei consensi. Soprattutto alla luce del fatto che la Ferrero gode, nelle Langhe e in Italia, di una reputazione molto positiva riguardo al trattamento dei suoi dipendenti: ma a cosa si riferiva davvero Barillari?

Lo spiega lui stesso in una successiva risposta al tweet incriminato: “Anche un saccottino capirebbe che non è uno stipendio italiano. La Ferrero, invece che comprare le nocciole in Italia e sostenere la nostra agricoltura, le compra in Turchia...sfruttando i lavoratori”. L’indignazione del politico è rivolta insomma alle condizioni dei lavoratori turchi, non di quelli italiani, e ha una fonte precisa: un articolo uscito lunedì scorso (19 agosto) sul Fatto Quotidiano, con il titolo “Nutella amara: il fatturato vola, lavoratori turchi affamati”, a firma di Nicolas Cheviron.

Si tratta per l’appunto di un reportage (pubblicato anche su Popoff Quotidiano lo scorso 13 agosto) tra i raccoglitori di nocciole sulle coste del Mar Nero. Ogni estate, racconta l’autore del pezzo, circa 350mila lavoratori stagionali curdi e arabi affluiscono dalle regioni devastate dal conflitto curdo nella Turchia orientale e sudorientale “per raccogliere la preziosa manna dai frutteti: in media 600mila tonnellate di nocciole all’anno, che rappresentano il 70% della produzione mondiale”. Il colosso alimentare di Alba assorbe da solo più di un terzo della produzione turca per la preparazione della Nutella, a cui le nocciole turche assicurano il 65% del fabbisogno.

Nei frutteti le condizioni di lavoro sono in effetti molto dure, e quel che è peggio è che nonostante i divieti legali e la sensibilizzazione delle ONG il lavoro minorile sotto i 16 anni è ancora comune: ”Un’indagine sulla distribuzione del reddito del commercio di nocciole in Turchia, condotta durante il raccolto 2017 dalla Fair Labor Association (FLA), con sede negli Stati Uniti, stima che la somma media guadagnata da una famiglia di otto lavoratori stagionali è di circa 730 dollari (650 euro), una cifra stimata «ben al di sotto della soglia di carestia» dai sindacati turchi”. In sostanza, si calcola che solo un ottavo del valore aggiunto prodotto da una crema spalmabile o da una tavoletta di cioccolato finisca nelle tasche dei lavoratori, costretti per giunta a pagare una forte tassa agli intermediari che li fanno assumere.

L’impotenza degli agricoltori è anche il risultato del progressivo smantellamento della potente cooperativa di produttori di nocciole, Fiskobirlik, voluto dal governo di Ankara a partire dagli anni ’80. In questo quadro, denunciano i sindacalisti, la Ferrero sarebbe subentrata ‘di fatto’ al ministero dell’Agricoltura turco, imponendo fra l’altro un uso massiccio di prodotti chimici nei frutteti.

Quello di Cheviron per il Fatto non è comunque il primo reportage dedicato all’industria turca della nocciola e ai suoi rapporti con il colosso dolciario. Nell’aprile scorso la questione era già stata al centro di un’inchiesta del New York Times, mentre in giugno se n’è occupato Stefano Liberti su Internazionale.

Per ora dall’azienda di Alba non sono arrivate risposte ufficiali a Barillari o al Fatto Quotidiano, ma è verosimile che la questione continuerà a far discutere in futuro.

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