CUNEO - 'Immigrato o non immigrato? La differenza è tra ricco e povero'

Riceviamo e pubblichiamo una lettera dello scrittore cuneese Danilo di Giangi che esprime il suo punto di vista su un tema di stretta attualità

r.c. 19/06/2018 10:06

Riceviamo e pubblichiamo una lettera dello scrittore cuneese Danilo di Giangi che esprime il suo punto di vista su un tema di stretta attualità.
 
 
Carissimi sostenitori della sacra inviolabilità dei confini della real patria e del suo andamento economico, terrei a sottolinearvi alcune semplici questioni.
 
A-      L’unica vera differenza esistente in tutta la popolazione mondiale è quella fra ricco e povero.
B-       Se sei ricco puoi liberamente circolare in ogni dove sul pianeta, godere delle meraviglie dei paesi altrui, comprare biglietti aerei low cost a 300 euro per fare vacanze esotiche a casa di coloro che detesti, usufruire delle migliori strutture ricettive e ritornare a casa tua, solo quando lo desideri, pieno di ricordi sottopagati o sottratti illegalmente, per autoincensarti nei racconti post viaggio con gli amici.
C-       Se sei povero e costretto a scappare da situazioni di indigenza assoluta, guerre o regimi autarchici, o semplicemente perché aspiri a migliorare le tue condizioni di vita, devi pagare almeno 3000 euro per sfidare la morte e, spesso, incontrarla, giungere nei paesi di coloro che ti detestano, affrontare un inferno simile a quello che hai lasciato, non avere diritti poiché non possiedi denaro ed essere il capro espiatorio di ogni male del paese che non vorrebbe accoglierti ma rispedirti (subito) da dove sei venuto, possibilmente pieno di lividi.
D-      I veri importanti flussi migratori non sono sicuramente quelli (infinitesimali) europei ma, da sempre, quelli di milioni e milioni di persone che si muovono nei paesi più poveri dell’Oriente e dell’Africa perché cacciati (per molteplici ragioni) dalle loro terre di origine.
 
 
Ho la fortuna di essere nato nella parte di pianeta “ricca”, quella che può permettersi di girarlo il “mondo”, e da 25 anni lo faccio, con sguardo attento e rispettoso verso coloro che hanno meno fortuna di me, ma tanto di più da insegnare. La povertà, quella vera, l’ho vista con i miei occhi, ne sono stato a stretto contatto, ne ho sentito l’odore.  È la povertà dei bassifondi di Calcutta, degli slums di Nairobi, delle discariche di Agbogbloshie in Ghana, della pelle dei corpi nudi che dormono per le strade di New Delhi, degli stracci laceri che vestono i bambini nei villaggi nepalesi e tibetani, del guano delle cave della Malaysia, delle migliaia di senzatetto che languono nel marcio e nel fango di misere capanne costruite con pezzi di legno e sacchi di plastica dell’immondizia.

Sì, esattamente quella plastica che qui, giustamente, mettiamo al bando, per spedirne quintali nei paesi poveri. È la povertà frutto del nostro secolare sfruttamento delle “loro” materie prime, è la povertà frutto della delocalizzazione delle nostre fabbriche, per usare la “loro” manodopera a costo zero, è la povertà frutto della nostra fame insaziabile di progresso, i cui scarti divengono “loro” patrimonio.

Permettetemi, senza presunzione, di dirvi che coloro che urlano ai quattro venti che la povertà nel proprio paese è aumentata a causa dei costi di mantenimento dell’immigrazione non sanno di cosa parlano e, se il loro tenore di vita non è più confacente allo standard occidentale (sebbene continuino a possedere smartphone di ultima generazione, televisori, computer, auto, ecc.), la causa non è da ricercarsi in coloro che “la povertà”, “quella vera”, l’hanno tatuata sulla pelle dalla nascita.

Danilo Di Giangi

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