CANOSIO - Impronte di grandi rettili risalenti a 250 milioni di anni fa ritrovate sull'altopiano della Gardetta

Lo studio, iniziato dopo i ritrovamenti del 2008 da parte del geologo dronerese Enrico Collo, è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale PeerJ

foto Enrico Collo

Andrea Dalmasso 14/01/2021 12:51

Una serie di impronte fossili, lasciate da grandi rettili (si pensa simili a coccodrilli) circa 250 milioni di anni fa sull’altopiano della Gardetta, a circa 2.200 metri di quota: l’importante scoperta è stata pubblicata sulla rivista scientifica internazionale PeerJ. Si tratta del primo ritrovamento di orme di questo genere sull’arco delle Alpi occidentali. Il lavoro di ricerca ha avuto inizio nel 2008, dopo i primi ritrovamenti da parte del geologo dronerese Enrico Collo e di Michele Piazza dell’Università di Genova, con il successivo coinvolgimento, nel 2009, del professor Heinz Furrer dell’Università di Zurigo: un lavoro durato diversi anni, che ha avuto una svolta nel 2017 con la creazione di un vero e proprio team di geologi e paleontologi delle Università di Torino, Roma Sapienza, Genova e Zurigo e del Museo delle Scienze di Trento, fino alla pubblicazione dello studio su PeerJ. “Tutti gli studiosi che sono venuti in valle Maira lo hanno fatto a titolo gratuito, credo sia importante sottolinearlo”, commenta lo stesso Collo.
 
L’impronta, inedita per la scienza, è stata denominata Isochirotherium Gardettensis, per una sorta di “omaggio” all’altopiano dell’alta valle Maira in cui è stata scoperta. Si tratta di tracce di calpestio, lasciate come detto da grandi rettili, fra i fondali fangosi ondulati di una antica linea di costa marina, in prossimità di un delta fluviale. Nel Triassico inferiore, epoca al quale risalgono le impronte, quest’area si trovava in prossimità dell’equatore.
 
Si tratta di una scoperta molto importante, - spiega Enrico Collo - non erano mai state rinvenute prima sulle Alpi occidentali impronte di arcosauri, ovvero i progenitori dei dinosauri. Scoperte simili furono fatte in valle Tanaro, ma nel 2015, quindi successivamente. In questo momento ci tengo a fare i miei sentiti ringraziamenti all’associazione Escarton e al suo presidente Giovanni Raggi, che dal 2017 ci ha sostenuto con crowdfunding e ‘raccolte dal basso’ per finanziare i nostri studi, e ad Attilio Dalmasso del Museo dei Fossili di San Rocco di Bernezzo, che ha coinvolto il professor Edoardo Martinetto dell'Università di Torino permettendoci di creare il gruppo di lavoro, oltre che a tutti gli studiosi che hanno fatto parte del gruppo stesso”.
 
Secondo Fabio Petti del Museo delle Scienze di Trento, uno dei massimi esperti italiani di orme fossili e primo autore dello studio pubblicato su PeerJ, l’eccezionalità del ritrovamento sta, oltre che nell’unicità per il nostro territorio, nella grande nitidezza e precisione delle impronte, che permette di delineare i caratteri anatomici dell’animale, come detto un rettile di notevoli dimensioni. Impronte che testimoniano la presenza di vita in un luogo e in un’epoca geologica che si ritenevano caratterizzati da condizioni ambientali inospitali. Le rocce che hanno conservato le orme ritrovate alla Gardetta, formatesi pochi milioni di anni dopo la più grave estinzione di massa della storia, l’estinzione permotriassica, dimostrano infatti che quest’area non era totalmente inadatta alla vita, come sostenuto in precedenza. 
 
L’intenzione, ora, è quella di sviluppare ulteriormente il progetto, estendendo l’area di ricerca e creando un “Geo-Paleo park”, con un centro visitatori e un giardino geologico didattico-divulgativo. La sfida, come spesso accade in questi casi, è trovare le coperture economiche per portare avanti un’iniziativa sicuramente importante dal punto di vista scientifico, ma che per la valle Maira potrebbe avere anche un notevole impatto turistico.
 
Oltre ai già citati Collo, Piazza, Furrer, Petti e Martinetto hanno fatto parte del gruppo di ricerca anche Massimo Delfino (Università di Torino) e Marco Romano (Sapienza di Roma). 
 
QUI l'articolo pubblicato dalla rivista scientifica internazionale PeerJ.

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