CUNEO - La provincia Granda è ancora la terza isola d’Italia?

In un documentario Rai del 1967 il nostro territorio veniva definito così, ma a oggi le cose non sono cambiate. Anzi, se possibile, la situazione è addirittura peggiorata

Samuele Mattio 07/01/2021 11:39

 
“Come mai con questi uomini, con questo spirito d’iniziativa, con questa intelligenza e serietà, la provincia di Cuneo è depressa? (…) La guerra è finita da più di vent’anni, ma non qui. Ecco il dramma di questa provincia: non ha comunicazioni e quelle che ha sono più arretrate di quelle d’anteguerra. Cuneo è una provincia isolata, è la terza isola d’Italia dopo la Sicilia e la Sardegna. Isolata dall’Italia e dalla Francia. Ecco cosa ritarda l’insediamento delle industrie, il traffico dei commerci con l’interno e con l’estero, lo sviluppo economico di tutta la regione. Sarebbe troppo lungo fare l’elenco delle strade insufficienti, delle ferrovie a binario unico, dei valichi chiusi d’inverno, dei trafori e degli aeroporti che mancano”. 
 
Era il 1967 quando i giornalisti Enrico Gras e Mario Craveri realizzarono un documentario per la serie "Ritratti di Città" dedicato a Cuneo e alla sua provincia. Il filmato, narrato da Riccardo Cucciolla, che ha avuto nuova vita in tempi recenti grazie ai social network, raccontava con franchezza e senza orpelli la società cuneese degli anni ’60. Alcune cose, come i matrimoni calabro-piemontesi e l’hobby locale del gioco d’azzardo sono storia, ma l’isolamento della provincia di Cuneo, descritto come “dramma”, resta uguale. Anzi, se possibile, la situazione è addirittura peggiorata. 
 
Il colmo è che il servizio Rai narrava di una “città che si è tirata su le maniche e ha cominciato i lavori per un nuovo tunnel”, ma di quel traforo in valle Gesso, che avrebbe dovuto essere più lungo di quello sotto il Monte Bianco, non ne rimane che un buco lungo 3 chilometri, scavati quell’anno. Il collegamento del Ciriegia avrebbe dovuto connettere Tetti Noit, nel comune di Valdieri, con Saint Martin Vesubie, passando sotto l’Argentera.
 
E se la situazione dei collegamenti di allora spinse i cronisti del servizio pubblico a descrivere Cuneo come la “terza isola d’Italia” chissà che cosa ne direbbero oggi che il tunnel di Tenda invece che “raddoppiare” - tralasciamo le vicissitudini che hanno accompagnato i lavori - è totalmente inutilizzabile a causa del crollo dei due ponti sul lato francese. Di questo passo, più che alla Sicilia e alla Sardegna la nostra provincia verrà paragonata all’isola di Tristan da Cunha, l’insediamento umano più isolato al mondo nel centro dell’Atlantico.
 
Iperbole a parte è passato poco più di un anno da quando la provincia di Cuneo è stata completamente isolata, ma visto l’andazzo le possibilità che la situazione possa riproporsi sono piuttosto corpose. Il 23 novembre 2019, giorno in cui la Granda avrebbe dovuto celebrare i 25 anni dall’alluvione del 1994, la provincia di Cuneo è ripiombata nello stesso incubo. Il crollo del viadotto tra Altare e Savona sull’autostrada A6 e una voragine sulla Torino-Piacenza hanno tagliato i collegamenti autostradali della Granda. Una frana caduta sul colle di Cadibona e i massi che hanno invaso la carreggiata tra Ceva e Nucetto (che blocca l’accesso al Colle di Nava e al Bernardino) hanno chiuso i passaggi con la Liguria.
 
Nell’occasione il presidente della Provincia Federico Borgna si fece sentire con forza, ma il grido di rabbia e disperazione non è stato sufficiente. Lo scorso anno la provincia di Cuneo, prima dell’intervento dei nostri rappresentanti, era stata classificata terzultima in Italia per i fondi governativi alla manutenzione delle strade, mentre l’Asti-Cuneo resta un’eterna incompiuta, la tangenziale di Fossano rimane a una corsia, la variante di Demonte (che comunque non risolverebbe tutti i problemi della viabilità in valle Stura) è incagliata nella burocrazia. Potremmo andare avanti a scrivere per ore, tante sono le situazioni che meriterebbero spazio sulle colonne del nostro giornale, dal colle della Maddalena aperto a singhiozzo ai collegamenti traballanti con la Liguria, con il traforo Armo-Cantarana che sembra destinato a rimanere sulla carta ancora a lungo.
 
La ferrovia Cuneo-Nizza, ripristinata soltanto nel 1979, è ad oggi l’unico collegamento continuo con la Francia. I cuneesi ben conoscono le vicissitudini che ha attraversato la tratta negli ultimi anni, sempre a rischio chiusura, poco e mal considerata dai nostri governanti. In materia di collegamenti ferroviari il capoluogo della Granda non gode di maggior fortuna in direzione Torino, in quanto da Cuneo a Fossano permane il binario unico (e nelle scorse settimane il Consiglio comunale della città degli Acaja ha avuto la brillante idea di pronunciarsi contro l’idea di raddoppiarlo). Tralasciamo le vicende dell’aeroporto di Levaldigi, oggi abbandonato alla buona volontà della Camera di Commercio e di alcuni imprenditori illuminati, tra cui Amilcare Merlo, fresco di laurea honoris causa, che provano a rilanciare quella che per anni, finanziata con fondi pubblici, è stata definita una “cattedrale nel deserto’’. Negli anni passati è certamente mancata la volontà di investire seriamente sull’infrastruttura, che si trovava sì nel deserto, ma a causa dei collegamenti viari da terzo mondo che caratterizzano la nostra provincia. 
 
Non è populista né qualunquista dire che negli anni sono stati stanziati milioni di euro e sono state spese tante parole, ma nei fatti oggi la Granda si ritrova con una rete viaria che è un colabrodo. Risparmiamo la retorica dell’età dell’oro della politica cuneese, con i ministri di queste terre che un tempo portavano soldi e infrastrutture sul territorio, è però ora che i nostri rappresentanti in parlamento vadano oltre al compitino e prendano in mano una situazione che se prolungata ancora rischia di portare gravi conseguenze sul destino del capoluogo e dell’intera provincia. Già lo scorso anno scrivemmo che, data l’inutilità dei gazebo davanti alla Prefettura, era giunto il momento di cambiare disco rispetto agli anni passati, in quanto già nei Ritratti di Città del ’67 si parlava della Granda come una terra “che non chiede mai”. Con il 2021 alle porte è arrivata l’ora di chiedere. Con gli interessi.


Il documentario RAI 'Ritratti di città' del 1967

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