CUNEO - La Regione Piemonte cambierà le regole per la fusione tra Comuni, ma serve una svolta a livello nazionale

Per molti enti locali le difficoltà sono insostenibili, eppure gli accorpamenti non decollano. Tuttavia in Europa c'è chi sta peggio

Busca dall'alto (foto del Comune di Busca)

Samuele Mattio 12/11/2022 16:59

La Regione Piemonte cambierà le regole per la fusione tra Comuni.
 
Nei giorni scorsi la Commissione Autonomia ha posto le basi per la revisione delle norme che ne regolano il procedimento. Per creare un nuovo ente locale servirà che tutti i comuni interessati siano d’accordo, almeno nella maggioranza dei cittadini che partecipano al referendum.
 
La modifica è stata pensata in seguito alle fusioni “forzate”. Attualmente, infatti, la normativa prevede che possa nascere un nuovo Comune anche se la maggioranza della popolazione di uno dei due enti non è d’accordo. “Al momento per procedere con l’iter si valuta il parere della totalità della popolazione - spiega Matteo Gagliasso, consigliere regionale di Savigliano e membro della Commissione Autonomia -, in questo modo però vengono penalizzate le comunità con meno abitanti. Abbiamo avuto casi in cui nonostante in un piccolo Comune ci fosse stata una pioggia di no, si è comunque proceduto alla fusione”.
 
Un esempio? La fusione nel 2018 dei Comuni di Lu e Cuccaro Monferrato, nell’Alessandrino: nonostante nel secondo ente, che contava poco più di 326 abitanti, fosse prevalso il no (64%), il risultato complessivo decretò la vittoria dei sì, in quanto a Lu - 1079 residenti - il 62% degli elettori era favorevole alla nascita del nuovo Comune.  
 
Il matrimonio tra i due enti, in seguito avallato dalla Regione allora guidata da Sergio Chiamparino, non si è rivelato particolarmente fortunato. Il nuovo Comune di Lu e Cuccaro Monferrato si trova in una situazione di dissesto finanziario e sono molte le spinte per ritornare indietro, tanto che alcuni cittadini hanno sottoscritto una petizione popolare per ripristinare la situazione pregressa.
 
Indubbiamente la volontà popolare è un aspetto imprescindibile, se non altro perché è la stessa Costituzione italiana a riconoscere e promuovere le autonomie locali. Eppure le spinte a proseguire con gli accorpamenti di comuni arrivano da più parti. E non solo perché gli enti sorti da aggregazione hanno una maggiore capacità di spesa da destinare ai servizi per la cittadinanza, in conseguenza dei maggiori contributi erariali e regionali, ma anche tenendo conto del blocco della leva fiscale nel periodo considerato. La situazione è diventata insostenibile per i piccoli centri, con le mani legate a causa della sistemica carenza di personale, che crea problematiche incolmabili per quanto concerne l’organizzazione, gli appalti di opere pubbliche e i servizi. Oltre alle difficoltà nel rispettare le disposizioni in materia di anticorruzione e trasparenza e a gli intoppi nell’utilizzo delle innumerevoli piattaforme informatiche.
 
Un esempio virtuoso viene dalla provincia di Cuneo, in particolare da Busca, che nel 2019 si è fusa con la piccola Valmala, mettendo un piede in val Varaita e migliorando i conti e la soddisfazione dei cittadini. Qualche giorno fa, quando in Regione è stato sottoscritto l’avvio della procedura di accordo di programma per la realizzazione di interventi sulla Strada dei Cannoni, il prosindaco di Valmala, Andrea Picco, ha commentato: “Siamo felici di questa straordinaria opportunità per il nostro municipio, che convalida ancora una volta la scelta vincente della fusione. Questo progetto è stato finanziato anche grazie alle professionalità degli uffici comunali: Valmala da sola non sarebbe riuscita ad ottenere questi risultati”.
 
La fusione per incorporazione di Valmala con Busca si è realizzata tre anni fa. Nel 2019 avvennero anche le fusioni di Santo Stefano Belbo e Camo e Saluzzo e Castellar, portando il numero dei comuni della provincia di Cuneo - da allora invariato - da 250 a 247. Già, a dispetto dei numerosi incentivi pensati negli anni per promuovere le fusioni e le unioni di comuni, la provincia di Cuneo, così come l’Italia intera, continua ad essere fortemente frammentata dal punto di vista amministrativo.
 
Allargando lo sguardo, sono oltre 5.500 i comuni italiani (il 70% del totale) a contare meno di 5mila abitanti. Tutti insieme, queste migliaia di enti contano meno di 10 milioni di abitanti (9.768.705). Messa in altri termini, il 70% dei sindaci rappresenta circa il 16% degli italiani. Sono alcuni dei dati emersi da una elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata su dati Istat ed Eurostat. Constatata la scarsa popolarità delle fusioni spontanee, negli anni sono stati fatti diversi tentativi di calare una mannaia per ridurre, dall’alto, il numero dei comuni italiani. Nel 2016 il Partito Democratico propose una legge per rendere obbligatoria la fusione tra tutti i comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, ma alla fine non se ne fece nulla.
 
E l’Europa che dice? Niente, dato che il nostro Paese non rappresenta certo un unicum. L’Italia è in buona compagnia in UE in tema di scarsa popolosità degli enti locali. I nostri comuni contano mediamente 7.498 abitanti, ma ci sono ben 9 Paesi al di sotto di questa media. Lo Stato membro dove le unità amministrative locali sono mediamente più piccole è la Repubblica Ceca: a fronte di una popolazione totale di 10,7 milioni di abitanti, il Paese conta 6.258 obcí (suddivisioni territoriali di secondo livello, paragonabili ai nostri comuni) che assommano mediamente 1.710 abitanti. Seguono Grecia, Slovacchia, e Francia (che detiene il primato per il numero assoluto di comuni: sono 34.966, di fronte a una popolazione simile a quella italiana). All’Ungheria spetta il record del comune in assoluto più piccolo, quello di Debréte, che conta solo 8 abitanti. Tendenzialmente è nel nord Europa che le amministrazioni locali sono più grandi: in vetta alla classifica la Danimarca che conta appena 99 comuni, per ognuno dei quali fanno capo in media poco meno di 60mila persone. Seguono Olanda, Lituania, Svezia, Irlanda, e Bulgaria. In conclusione, per una volta “non ce lo chiede l’Europa”: a muoversi per trovare una soluzione che rispetti i principi di autodeterminazione delle comunità locali deve essere il governo nazionale. È una questione di buonsenso.
 
Articolo pubblicato sul giornale cartaceo di Cuneodice.it in edicola giovedì 10 novembre.

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