CUNEO - L’appello di Tranchida: “Cuneo merita un nuovo ospedale, la comunità non si divida”

Il manager dribbla la polemica sulle “visite fantasma” nel confronto con il predecessore Moirano: “La politica decida sugli ospedali, non sulle nomine dei primari”

Andrea Cascioli 13/09/2025 08:00

Due manager che hanno scritto una pagina della storia sette volte secolare del Santa Croce, in tempi diversi. Fulvio Moirano e Livio Tranchida, passato e presente - ma ancora per poco, nel secondo caso - dell’ospedale di Cuneo. Ospiti nel salotto estivo di villa Tornaforte Aragno, per l’occasione allestito nel portico, i due direttori generali ripercorrono carriere personali e scelte direttive. Un’occasione per tirare le somme, ma anche per qualche esortazione: “Il 23 ottobre - ricorda il commissario in carica - c’è una scadenza importantissima, aspettiamo la sentenza di merito sul ricorso della Inc e poi pubblicheremo la gara per il nuovo ospedale. Ciò che non deve mancare è la vicinanza della comunità e mi auguro non sia una comunità divisa. Non si può entrare nella sanità moderna senza avere strutture moderne”. Si fa presto a dire di serrare i ranghi, tenuto conto che le opposizioni a sinistra e non solo la scelta di trasferire tutto al Carle non la mandano giù. Polemiche ormai datate, mentre su quella del giorno - la vicenda delle “visite fantasma” ora al vaglio della direzione regionale - Tranchida non fa parola. Le parole, molte, sono di gratitudine per quel che l’ex dg siciliano si appresta a lasciarsi alle spalle: “A Cuneo sono stato accolto come a casa, è ciò che me la fa rimpiangere oggi che vado a Torino”. Alla Città della Salute il “cuneese del sud”, come ironicamente si definisce, trova un ospedale che non ha ancora approvato il bilancio e un personale dove le limitazioni sfiorano il 50% in alcune categorie (a Cuneo la media è del 13%). L’aneddoto sul primo incontro con i sindacati chiarisce tutto: “Mi hanno detto che l’incontro era nell’aula magna dell’ospedale Molinette e che era tutta piena: mi è scappata la battuta, ma chi sta andando a lavorare se siamo tutti qua?”. “Per stare alle Molinette bisogna essere figlio del presidente della Regione” scherza Moirano, che quell’incarico, racconta, lo ha rifiutato ben tre volte: la prima volta glielo propose Casoni nella giunta Ghigo, la seconda Valpreda nella giunta Bresso, la terza Chiamparino in persona. Lui ha opposto un no a ciascuno: “Avevo paura di Guariniello, - confida - tutti quelli che hanno assunto incarichi sono stati indagati e poi anche prosciolti”. Un’indagine a lui era toccata ai tempi della costituzione di Amos: “Mi hanno denunciato per intermediazione illecita di manodopera, c’era ostilità anche perché molti temevano Cuneo”. Il Santa Croce, ai tempi, “produceva metà delle Molinette, ma costava quattro volte di meno: era un ospedale che ‘faceva utili’”. Su quel modello di sanità si discute tuttora: “Un’idea di ‘socialismo nella proprietà, capitalismo nella gestione’. Nel 2001 scrissi che la modalità di erogazione del servizio pubblico era morta. Mi sbagliavo perché era solo ferita gravemente, sta morendo adesso”. “Auspico che si riveda la modalità di lavoro nel pubblico rispetto al privato, l’altra strada è esternalizzare le prestazioni” dice Moirano, che in questa ipotetica “revisione” inserisce anche un taglio a sfumatura altissima sugli ospedali: “La rete di offerta è tuttora ridondante: io dico che circa il 30% degli ospedali italiani dovrebbero essere chiusi, la politica non può dirlo”. Tranchida inserisce nel discorso la questione della regionalizzazione delle politiche sanitarie: “Se si dà alle regioni la possibilità di organizzarsi, perché non ci sono contratti di secondo livello? Potrebbero essere una leva fondamentale. Non significa attaccare i diritti di qualcuno ma avere un approccio aderente alla comunità: oggi un infermiere a Milano guadagna quanto un infermiere a Milazzo. Dobbiamo uscire dalle gabbie di pensiero del Novecento”. C’è da dire che l’idea proprio originale non è: le gabbie salariali c’erano già, proprio nel Novecento, poi furono abolite. Un tema politico, come in mano alla politica è la scelta dei manager: “Ed è giusto che sia così: chi è portatore degli interessi dei cittadini deve tutelare il bene primario della salute” osserva Tranchida. Moirano concorda: “Sono d’accordo che la politica debba decidere, il nodo è un altro: deve decidere anche chi fa il primario? Lì la barriera della tecnocrazia dev’essere insormontabile”.

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