CUNEO - "Lo ordino, poi se non mi piace faccio il reso": un atteggiamento non più sostenibile

Quella che per molti è ormai un'abitudine quotidiana ha conseguenze da non sottovalutare per l'ambiente e per le aziende

Micol Maccario 18/01/2023 08:39

Lo ordino, se non mi piace lo restituisco, tanto il reso è gratis”. Quante volte ci è capitato di dire questa frase? I colossi della vendita online garantiscono da tempo la possibilità di restituire gratuitamente ciò che abbiamo ordinato e che non ci soddisfa. Ma il reso non è davvero gratuito se andiamo ad analizzare le conseguenze che questo gesto ha sull’ambiente e sull’economia delle aziende.
 
Noi pensiamo che sia un processo semplice e lineare: ordino, ricevo, non mi piace quindi restituisco. Il rivenditore dal canto suo riceve indietro il pacco e lo spedisce a qualcun altro che lo vuole. In realtà non è così. L’azienda deve rivalutare il prodotto reso, stoccarlo nuovamente, inserire un’etichetta e poi rimetterlo in vendita. 
 
È un processo lungo, dispendioso e inquinante, che spesso al venditore non conviene portare avanti. Secondo l’Insider, molte volte i prodotti restituiti sono venduti sui mercati secondari, quindi le aziende aprono i propri siti di rivendita o pubblicano i prodotti restituiti su eBay o ThredUp. È il caso di Amazon. Nel caso in cui i prodotti non rispettino gli standard per essere rivenduti a prezzo pieno, spesso l’articolo è rivenduto come prodotto usato su Amazon Warehouse oppure tramite Amazon Renewed. 
 
Altre aziende, secondo l’Insider, dicono ai clienti di non rendere i prodotti ma di tenerli. Questa però non sarebbe un’ottima opzione perché probabilmente la maggior parte delle persone butterà via gli ordini indesiderati. Molti dei prodotti restituiti finiscono direttamente in discarica. In particolare, si tratta di prodotti per l’infanzia, gettati per evitare responsabilità, ma non solo. Secondo Vogue Business il 10% dei resi online viene donato o incenerito. Stando ai dati che riporta il Guardian, “solo negli Stati Uniti finiscono in discarica ogni anno 2,6 tonnellate di resi, un dato che si impenna in particolare dopo le festività”.
 
I resi hanno un grave effetto sull’ambiente. Oltre all’eventuale fine della vita del prodotto in discarica, bisogna tener conto del problema ecologico causato dal nuovo trasporto e dall’imballaggio sprecato. In media, in Unione Europea, ogni cittadino produce quasi 180 kg di rifiuti di imballaggio all’anno. Questo avviene perché, spesso, per spedire i prodotti le aziende utilizzano materiali plastici monouso, difficilmente riciclabili. 
 
Acquistare compulsivamente solo perché una cosa costa poco o perché “tanto al massimo la restituisco” non è più un atteggiamento accettabile. “Nel 2018 – riporta Repubblica – un sondaggio condotto in Gran Bretagna ha riscontrato che il 9% dei consumatori acquista capi per indossarli giusto il tempo di realizzare un contenuto social, e poi li rispedisce al fornitore. Nella fascia di età compresa tra i 35 e i 44 anni la percentuale sale al 17%”. I prodotti low cost recapitati in due giorni gratuitamente a casa nostra ci hanno abituati a un sistema che sta per collassare perché insostenibile sia per l’ambiente che per gli stessi marchi. È necessario un cambiamento nel modo in cui il consumatore si approccia al prodotto. E, se si fa un ordine sbagliato, esistono molte vie per dare una nuova vita a un vestito o a qualsiasi altro acquisto. Sempre più popolari sono, ad esempio, le applicazioni per rivendere i vestiti come Vinted o Depop, su cui è possibile mettere in vendita anche prodotti nuovi con il cartellino o sigillati nei contenitori originali. 
 
Proprio perché i resi gratuiti sono diventati insostenibili sia per l’ambiente che per gli stessi marchi, molte aziende hanno deciso recentemente di eliminare la possibilità di restituire gratuitamente la merce acquistata online. Zara ha scelto di applicare una spesa di 4,95 euro per la restituzione, H&M 2,99 euro se non si è membri del programma fedeltà. Secondo l’Insider, un reso a un brand può costare anche il 66% del prezzo originario del prodotto. È questo il motivo per cui spesso gli acquisti finiscono direttamente in discarica: costa meno che rivenderli.
 
La motivazione che sta dietro alla scelta di far pagare il reso all’acquirente è in primo luogo una decisione che ha obiettivi finanziari perché i resi diventano così economicamente sostenibili per le aziende. Ma, in realtà, questa scelta ha conseguenze sull’ambiente e sulla mentalità degli acquirenti. Se inizia a sorgere la consapevolezza che il reso deve essere pagato, per quanto poco sia, chi acquista starà sicuramente più attento a cosa compra. Il risultato sarà quello di ragionare maggiormente sugli acquisti che si fanno online. Ma anche il venditore farà la sua parte perché dovrà fornire una descrizione dei prodotti più dettagliata e una definizione delle taglie degli abiti più precisa. 
 

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