Doveva arrivare una settimana fa, il fatidico 23 ottobre, l’atteso pronunciamento del Tar sul ricorso intentato dalla Inc della famiglia Dogliani di Narzole contro la Regione e l’ospedale di Cuneo, motivato dal rigetto della proposta di partenariato pubblico privato. L’udienza c’è stata ma la sentenza no: è possibile che arrivi il mese prossimo, ma tutt’altro che certo. Quisquilie, si dirà, visti i ritardi già accumulati sulla tabella di marcia. Non fosse che a quel verdetto è appeso, oltre al destino della gara per la progettazione del nuovo ospedale unico, anche l’avvenire dell’attuale commissario ed ex direttore generale Livio Tranchida. Che in teoria dovrebbe rimanere con una scarpa a Cuneo e l’altra a Torino fino al 30 novembre, ma non è detto. L’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi vorrebbe infatti mantenerlo nel doppio incarico, finché la grana del Tar non sarà dipanata. L’azienda edile, parte del gruppo Fininc, chiede ai giudici amministrativi un risarcimento di 10,8 milioni di euro, per i danni che ritiene di aver patito affrontando adeguamenti e costi nelle varie fasi della progettazione. La proposta di partenariato era stata avanzata a maggio 2022 dai privati, di fatto congelando l’iter avviato un anno prima con l’individuazione della sede al Carle: Cirio e l’allora assessore Luigi Icardi - grande sponsor del PPP - lo avevano presentato in pompa magna nella “conferenza d’intenti” tenutasi a febbraio 2023, prevedendo il fine lavori entro l’anno 2028. Nel gennaio 2024 il termine è stato rivisto a fine 2031, data che anche il successore di Icardi, Riboldi, aveva confermato a settembre dello scorso anno: prima, però, che arrivasse il ricorso. In sostanza i privati accusano la Regione di aver “flirtato” più del dovuto senza poi andare al dunque, chiedendo un progetto revisionato che ovviamente era costato altri soldi e che alla fine era arrivato l’ultimo giorno utile. Dopo le elezioni regionali, com’è noto, l’assessorato più “pesante” della Regione ha cambiato titolare e il partenariato è stato bocciato: “L’advisor ha considerato la proposta del partenariato pubblico-privato molto più onerosa rispetto alla procedura pubblica” si è giustificato Riboldi, menzionando lo studio dell’università Bocconi secondo cui la proposta della Inc “risulta meno conveniente rispetto a un appalto tradizionale di una somma tra 81 e 203 milioni di euro, a seconda che si valutino scenari più o meno prudenziali”. Viene da chiedersi perché la Regione non lo avesse almeno sospettato prima. Ora, appunto, la matassa devono sbrogliarla i giudici. Col rischio concreto che dal Tar - che nel frattempo ha già respinto la richiesta di sospensiva - si passi poi al Consiglio di Stato, mantenendo la spada di Damocle della giustizia sulla testa di chi dovrà occuparsi della progettazione. Il “caso ospedale” finisce così in un groviglio analogo a quello in cui la città ha già visto precipitare gli altri due temi amministrativi di maggior rilievo di questi anni: il “caso piazza Europa”, ovvero il destino del progetto di riqualificazione (avviato col bando Periferie del lontano 2016, un’era fa), e il “caso Tettoia Vinaj” legato al pagamento dei canoni mai riscossi. Vicende che hanno avuto ognuna una sua genesi complessa e un andamento non sovrapponibile, ma che testimoniano un analogo smarrimento dell’azione politica e, almeno per quanto riguarda l’ospedale e la piazza ex Foro Boario, una subalternità forzata e forzosa del bene pubblico a voraci appetiti privati.