CUNEO - Palazzo Chiodo, si tenterà la via del “landmark trust”?

Dopo l’asta deserta, la giunta cuneese valuterà la proposta del consigliere Civallero. Lauria avverte: “Pronto a presentare un esposto per danno erariale”

Andrea Cascioli 01/02/2024 18:45

In Inghilterra è un ente no profit attivo da oltre mezzo secolo, durante i quali ha recuperato più di 190 edifici tra castelli, residenze di campagna, forti, torri e padiglioni. Ma The Landmark Trust esiste da qualche anno anche in Italia, dove sei edifici storici in condizioni critiche sono stati riportati a nuova vita e resi disponibili per i turisti che vogliano trascorrervi un soggiorno suggestivo. Qualcosa di simile succede in Spagna, dove esiste la catena alberghiera pubblica Paradores de Turismo che offre soggiorno in ex conventi, castelli e palazzi storici adattati ad hotel.
 
È la strada che il consigliere cuneese di Forza Italia Franco Civallero ha indicato per il recupero di palazzo Chiodo, l’edificio cinquecentesco all’angolo con l’ex chiesa di Santa Chiara che il Comune ha acquisito nel 2006 e che versa da anni in forte stato di degrado. Una proposta che l’assessore al Patrimonio Alessandro Spedale si è impegnato a valutare: “Credo sia una possibilità da approfondire, ma bisognerà fare passaggi più puntuali”. In alternativa resta la dismissione, già tentata con un’asta che due settimane fa è finita deserta: nessun privato è disposto ad acquistare l’immobile al prezzo di 2 milioni e 400mila euro, tanti quanti ne pagò diciotto anni fa il Comune alla baronessa Maria Alberta Chiodo.
 
“Se si lascia deperire un bene è ovvio che non si trovi da collocarlo, soprattutto se non c’è una strategia di recupero nell’ambito della conservazione urbanistica” obietta a questo proposito Ugo Sturlese (Cuneo per i Beni Comuni), autore di un’altra interpellanza sul “caso” discussa nell’ultimo Consiglio comunale: “Non vorremmo che questo preludesse a una riduzione del prezzo di vendita” ammonisce il barricadero esponente della sinistra civica. “Occorre - aggiunge - un concorso di idee su un complesso più ampio di edifici, compresa la biblioteca, coinvolgendo pubblico e privati: in questo caso, a differenza dell’ospedale, qualcosa di simile al partenariato non sarebbe male”.
 
“L’unica strada percorribile con palazzo Chiodo è essere coerenti con quanto venne detto allora” afferma Beppe Lauria (Indipendenza!), ricordando come al tempo dell’acquisto “ci trovammo tutti d’accordo sul valore dell’opera storica e sulla possibilità di un collegamento con la biblioteca”: “Troviamo le risorse e raddrizziamo la storia di questo monumento, provando a metterci qualcosa dentro. Altrimenti - avverte il portavoce della destra sociale - siete tutti responsabili di danno erariale”. Ipotesi per la quale Lauria si dice pronto a presentare un esposto in Corte dei Conti, qualora l’edificio cinquecentesco venga venduto a un prezzo inferiore a quello a cui venne acquistato. Oltretutto, aggiunge, “il palazzo è preservato dalla Soprintendenza e questo rende pressoché impossibile che qualcuno lo voglia acquistare, a meno che ‘accidentalmente’ non succeda un incendio”.
 
“Se si parla di danno erariale andrei a citare coloro che lo acquistarono, non coloro che lo vendono” ribatte il capogruppo di Centro per Cuneo Vincenzo Pellegrino: “Abbiamo un fabbricato che era un tesoro, ma che nel 2015 è stato danneggiato da un incendio, poi i danni che non ha fatto il fuoco li ha fatti l’acqua. Cosa possiamo fare come amministrazione? Facciamo una scelta accurata, quella di metterlo in vendita”. L’allora vicesindaco della giunta Valmaggia che decise l’acquisto, ovvero Giancarlo Boselli (Indipendenti), difende dall’opposizione quella scelta: “La scelta all’epoca fu immediata, rispetto al valore del palazzo del Cinquecento più importante a Cuneo. Vendere in questo momento sarebbe un errore veramente grande”. “Qualcuno era politicamente responsabile di un bene della città in questi quindici anni” fa notare Nello Fierro (Cuneo per i Beni Comuni), criticando il modo in cui sono state gestite anche le eredità Ferrero e Galimberti: “In prospettiva quello che stiamo creando è un depauperamento del patrimonio: tra dieci anni probabilmente ci venderemo il municipio. Almeno si abbia la decenza di riconoscere che non si è fatto tutto quello che si doveva fare”.
 
L’auspicio di Civallero è che si intervenga almeno per la messa in sicurezza e la protezione dalle intemperie, in modo da scongiurare “l’ulteriore colpevole decadimento”. Per il resto, ricorda il forzista, “lo stemma della famiglia aristocratica si trova raffigurato sia sulla sommità della porta d’ingresso di via Chiusa Pesio che nel cortile interno, dove compare anche il motto della casata ‘mai tardi fur gratie divine’: si spera che per la conservazione del palazzo si avveri il motto”.

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