CUNEO - Parla il primario del Pronto soccorso di Cuneo: “Il nuovo ospedale? C’è bisogno di spazio”

Il dottor Giuseppe Lauria pensa al futuro della struttura. E dopo la pandemia guarda il bicchiere mezzo pieno: “Il Covid ha lasciato anche qualcosa di costruttivo”

Chiara Carlini 20/04/2022 19:01

Il Pronto Soccorso non è solo un reparto, ma un vero e proprio ospedale nell’ospedale. Il Dipartimento emergenza e accettazione (DEA) di Cuneo si suddivide i 3 settori: Pronto soccorso, Area critica e la terza funzione si chiama Osservazione Breve Intensiva. A capo di questa struttura organizzativa complessa, che coinvolge un’equipe composta da diverse figure professionali che si alternano h 24, 7 giorni su 7, c’è lui, Giuseppe Lauria, cuneese, classe 1961. Abbiamo incontrato il primario del Pronto Soccorso del Santa Croce e Carle di Cuneo per fare il punto della situazione dopo i due anni di pandemia.
 
Dottore, dal 1° aprile il governo ha stabilito la fine dello stato d’emergenza da Covid-19. Cosa cambia negli ospedali?
“Da noi non è cambiato nulla. Ovvero, i percorsi differenziati per gli utenti che accedono al Pronto soccorso ci sono sempre. I dati ci tengono ancora sull’allerta anche se, attualmente, la prevalenza di positivi è ancora bassissima. I vaccini hanno cambiato in maniera radicale l’approccio alla malattia”.
 
Ci spieghi meglio.
“Oggi, per fortuna, non vediamo la malattia potenzialmente mortale che abbiamo affrontato per due anni di seguito. Il vaccino protegge dalla forma grave del coronavirus e dalla morte per insufficienza respiratoria, ma non dalla forma lieve della positività. I non vaccinati che arrivano ancora da noi, vivono la malattia nella stessa forma della prima ondata. I vaccinati, che invece accedono per una frattura o per un infarto, possono manifestare una positività al COVID, senza sintomi della malattia, ma devono seguire un percorso differenziato”.
 
Che situazioni gestite adesso al PS?
“Quelle di sempre, prima e dopo il Covid. Ogni lunedì, come sempre, abbiamo il picco degli accessi, un flusso notevole per patologie mediche e traumatiche diverse”.
 
Ogni lunedì?
“Sì, sembra strano ma sono dati scientifici ormai standardizzati. Il primo giorno della settimana l’affluenza è impressionante e avviene in tutte le medicine d’urgenza in Italia e all’estero”.
 
Il Pronto soccorso cuneese, preso a modello anche da altre realtà, è una macchina ormai sperimentata con ingranaggi complessi che si occupa della prima diagnosi e delle prime cure per poi smistare i pazienti nei re parti. Come si gestisce una struttura così complessa?
“I due anni di pandemia ci hanno messo a dura prova, ma ne siamo usciti più forti e più consapevoli delle nostre capacità. Il Pronto soccorso, se ben organizzato, ha la capacità di adattarsi al contesto esterno nel quale è inserito. È come un organismo vivente che si adatta all’ambiente nel quale vive: epidemiologico, stagionale, sociale. L’ingrediente principale sono le persone e la capacità di lavorare in squadra. Nella prima ondata Covid non abbiamo rilevato nessuna assenza e facevamo turni di 12 ore a fianco di pazienti in condizioni critiche. Ricordo che alcuni colleghi, per evitare di portare i contagi in famiglia, hanno vissuto lontani da casa per mesi. Nella seconda ondata di settembre 2020, quando la fase di contagio è risalita all’improvviso, anche il 30% di noi è stato colpito nella fase di passaggio. A dicembre sono arrivati i vaccini e la situazione ha iniziato a ristabilirsi”.
 
Non avete registrato rinunce da parte del personale?
“Tutt’altro. Tutto il personale, oss, medici, infermieri, impiegati, sono sempre stati in prima linea con il sorriso. Non si sono mai tirati indietro. Chi lavora in emergenza trova la sua forza nella squadra. E la squadra che abbiamo a Cuneo è ammirevole per determinazione e qualità professionale. Infatti, le posso dire che il Covid ha lasciato anche qualcosa di costruttivo”.
 
Cosa?
“Una nuova consapevolezza delle competenze gestionali e organizzative. Durante la pandemia, se con la direzione generale dell’ospedale ci rendevamo conto della necessità di aprire o chiudere un percorso, dopo poche ore avevamo i tecnici a modificare la struttura. Abbiamo anche imparato ad incrociare le competenze e le professionalità. Prima ogni settore era chiuso. Il Covid ha buttato giù anche quei muri”.
 
Qual è la fotografia peggiore che le rimarrà impressa di questi due anni?
“Sicuramente una ferità indelebile è stata vedere la sofferenza nelle persone e non poterle aiutare. Cuneo è una piccola città e molto spesso ci siamo trovati difronte ad amici o conoscenti in fin di vita. Poi, sicuramente, una delle cose più faticose è stata la vestizione. Tra colleghi non ci riconoscevamo, non ci sentivamo, non respiravamo bene. Abbiamo indossato, nell’ordine: giacchino e pantalone verde, tuta integrale con cappuccio, mascherine FPP2, occhialoni o maschera facciale, 2 paia di guanti e copriscarpe. E nonostante le difficoltà di operare in queste condizioni, nessuno si è lamentato. Ci ha aiutato il supporto della gente comune: ogni mattina ci arrivavano vassoi di prodotti di pasticceria o da forno e la gratitudine era evidente nei volti di tutti i nostri pazienti. Adesso, invece, ci ritroviamo ad assistere nuovamente ad alcuni episodi di aggressione o impazienza che ci lasciano perplessi”.
 
Come funziona l’attesa prima dell’accesso al pronto soccorso?
“Chiaramente la priorità viene data a chi è in pericolo di vita e ci dispiace se per altri l’attesa risultare lunga, ma ogni risorsa in quel momento viene dedicata a salvare vite umane. La parte più complessa è regolare i flussi di ingresso e curare le relazioni con tutte le strutture e i servizi interni all’ospedale: consulenze, esami, diagnosi. I medici d’urgenza stanno sparendo ed è un peccato perché è un lavoro bellissimo dal punto di vista professionale ma richiede molti sacrifici e molto tempo tolto alle famiglie. Il personale si alterna h 24, 7 giorni su 7”.
 
Come sono i rapporti con le RSA?
“Indipendentemente dalla pandemia, i nostri rapporti con le RSA sono quotidiani e regolati in maniera fluida. In entrata il rapporto è diretto con le strutture residenziali, mentre al termine dal percorso ospedaliero la gestione è mediata dal Nocc (Nucleo ospedaliero per la continuità delle cure ndr).
 
Chiudiamo con una domanda sul nuovo ospedale e su come vorrebbe il nuovo Pronto soccorso...
“L’auspicio è che quando verrà definito il progetto, venga consultato chi in quegli spazi ci lavora quotidianamente. L’ideale, sarebbe una struttura con un nucleo centrale di pronto soccorso e intorno servizi ad anelli concentrici o una struttura modulare che possa essere modificata tra giorno e notte come avviene negli Stati Uniti. Sarebbe l’ideale. E che lo facciano grande. Nei pronto soccorso c’è sempre bisogno di spazio. A tale proposito, ci tengo ad annunciare che a breve, inaugureremo i nuovi locali dedicati a due, dei tre comparti della DEA: la funzione di Area critica e la funzione di Osservazione semintensiva”.

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