CUNEO - Provenzale alpino, una lingua che muore: nelle nostre valli sono solo 44 i bambini che parlano il ‘patuà’

Vent’anni fa l'approvazione della legge che tutela le minoranze linguistiche: ‘Non è servita a nulla, le piccole civiltà sono soffocate da modelli esterni che assorbono ogni accento ed espressione diversa'

Coumboscuro, dal sito del Centre Prouvencal

Samuele Mattio 25/03/2020 09:27

Nelle valli della provincia di Cuneo sono solo 44 i bambini dai 3 ai 10 anni che parlano il provenzale alpino. Non va meglio dalle parti del Torinese, dove tra val Chisone e val Pellice i ragazzi che riescono a sostenere una conversazione in patois (patuà), sono 26. L’inchiesta, pubblicata nell’ultimo numero di Coumboscuro, periodico dedicato alla lingua e alla cultura provenzale fondato sessant’anni fa dall’intellettuale Sergio Arneodo, evidenzia tristemente che la percentuale di giovani che conosce il provenzale alpino nelle valli si attesta intorno al 4 percento: mettendo insieme i dati delle valli del Cuneese e della provincia di Torino, dalla val Vermenagna all’alta val di Susa, sono solo 70 su più di 1.600. A ‘resistere’ tocca a Vernante (13 bambini) in val Vermenagna e a Monterosso Grana (14), dove ha sede il Centro Internazionale di Cultura Provenzale di Sancto Lucio de Coumboscuro. Negli altri paesi delle valli i numeri sono molto piccoli: 5 a Vinadio in valle Stura, 7 in valle Maira tra San Damiano e Prazzo e 2 a Sampeyre, in val Varaita. 
 
Il risultato dell’indagine arriva a poco più di vent’anni dall’approvazione della legge 482 del ’99, che tutela le minoranze linguistiche. “Le istituzioni si sono coperte le spalle, ma siamo convinti che non sia servita a nulla - spiega Davi Arneodo, anima del Centro Provenzale di Coumboscuro -. Lo scorso anno era una scadenza che avrebbe richiesto una riflessione su una legge giunta in ritardo e che oggi si rivela carente nel focus della sua missione: ‘tutelare’ e quindi, ‘far progredire le piccole lingue’”.Ci si rende conto, in piena emergenza coronavirus, e a cent’anni dalla spagnola da cui le Alpi avevano trovato la forza di risollevarsi, che la scomparsa delle ‘lingue di territorio’ non ha volto e confronto - completa la sua riflessione Arneodo -. La mancanza di un tessuto sociale consegna le piccole comunità ancestrali in balìa di modelli esterni che assorbono ogni accento ed espressione diversa e che soffocano le piccole civiltà, la maggior parte oggi in agonia”. 
 
“Le ultime generazioni hanno mancato il rendez-vous con la storia, con il proprio destino, ponendo le basi per lo sgretolarsi di un futuro di valori, di accenti forti, di genialità compositiva. Il dibattito ha coinvolto molte persone e motivato riflessioni profonde perché le lingue locali sono specchio di civiltà ed espressione vitale di una comunità”, conclude colui che è anche il leader del gruppo musicale Li Troubaires di Coumboscuro, oggi Marvelar. Gruppo che nell’ottobre del 1993 incise perfino un pezzo, ‘Mis Amour’, insieme a Fabrizio De André
 
Difficile dargli torto, d’altronde ciò che si sta realizzando non è altro che quella scomparsa della civiltà contadina e montana lucidamente prefigurata da Pier Paolo Pasolini nei primi anni Settanta in termini che possiamo usare ancora oggi come ‘omologazione e genocidio culturale’, ‘mutazione antropologica degli italiani’ e ‘ideologia dei consumi’. Il pensiero dell’eclettico artista di Casarsa si lega idealmente alla cultura provenzale accarezzata nelle sue prime poesie. Una curiosità? L’unico pezzo nella sua carriera che l’amico di Coumboscuro De Andrè scrisse su commissione, intitolato ‘Una storia sbagliata’, era dedicato proprio all’autore degli ‘Scritti Corsari’. Fu la sigla di due documentari Rai. 
 
Nonostante il destino sembri segnato, almeno in apparenza, c’è chi ancora lotta per non perdere le proprie ‘reis’. In questa direzione, proprio alla luce dell’inchiesta svolta dal periodico Coumboscuro, va il concorso “Uno terro, uno lengo, uno pople 2020”, a cui daremo spazio in un articolo dedicato, che mira a promuovere la lingua nelle scuole attraverso un brano del poeta Umberto Saba. In tempi bui c’è chi tiene accesa la fiammella la memoria della cultura provenzale, nella speranza che un giorno il vento possa tornare a soffiare.

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