CUNEO - Quanti sono i rifugiati accolti a Cuneo?

Dopo le polemiche in Consiglio comunale, ieri sono state fornite tutte le cifre: 200 persone in provincia di cui 62 nel capoluogo, 153 sono uomini. Critico Lauria: ‘A volte sembra che i progetti servano solo a cooperative e mediatori’

Andrea Cascioli 17/10/2019 17:26

 
Il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza è di quelli che, per un motivo o per l’altro, rinfocolano di continuo discussioni, polemiche, interrogativi. A Cuneo, solo per citare i due ‘casi’ più recenti, se n’è parlato in riferimento all’ultimo sgombero del Movicentro e alla questione del rifugiato-imprenditore incluso dal Comune nel progetto SIPROIMI.
 
Ed è proprio per fare chiarezza sui numeri e le condizioni di accesso al programma di inserimento per i rifugiati che ieri sera (mercoledì 16 ottobre) la prima Commissione consiliare ha dedicato un’intera seduta  a illustrare obiettivi, metodi e funzionamento del SIPROIMI, insieme ai referenti Salvatore Nola e Elisa Gondolo e al funzionario responsabile dell’ufficio Immigrazione del Comune Ivano Biga.
 
Una prima premessa necessaria: il SIPROIMI (acronimo per ‘Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati’) ha sostituito ciò che fino all’entrata in vigore del decreto sicurezza veniva chiamato SPRAR (‘Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati’). Dietro al cambio di denominazione c’è una differenza sostanziale: mentre infatti il vecchio SPRAR prendeva in carico sia i richiedenti asilo che i rifugiati veri e propri, il SIPROIMI è accessibile solo da parte di quegli immigrati che abbiano già ottenuto un regolare titolo di permanenza in Italia. Si tratta di un meccanismo di solidarietà ‘di secondo livello’, diverso dalla prima accoglienza dei CAS (Centri di accoglienza straordinaria) dove le prefetture smistano invece gli immigrati ancora in attesa di sapere se le loro domande di asilo verranno accolte o respinte. L’adesione allo SPRAR/SIPROIMI da parte dei comuni, ha ricordato l’assessore Patrizia Manassero, è il canale privilegiato per le amministrazioni comunali che vogliano accompagnare l’integrazione dei rifugiati ed è anche il sistema che consentiva ai comuni di evitare che sul proprio territorio i prefetti disponessero d’autorità l’apertura di centri di accoglienza temporanei.
 
Per questi motivi il Comune di Cuneo si è fatto capofila di un progetto per il triennio 2018-2020 che vede coinvolti anche altri sedici comuni della provincia: Alba, Bernezzo, Bra, Caraglio, Costigliole Saluzzo, Demonte, Fossano, Gaiola, Genola, Moiola, Pradleves, Roccasparvera, Saluzzo, Savigliano, Verzuolo, Villafalletto. Il progetto prevede 265 posti, 80 dei quali sono stati individuati nel Comune di Cuneo. Il numero dei posti non corrisponde a quello dei rifugiati perché il programma ha una durata di sei mesi, prorogabile solo a fronte di particolari esigenze (se per esempio un soggetto ha trovato lavoro ma non ha ancora una sistemazione): i rifugiati che ‘attraversano’ il SIPROIMI nell’arco di un triennio sono quindi molti di più.
 
Altro aspetto da rilevare è che gli accessi devono essere tutti individuati dai comuni e autorizzati dal ministero dell’Interno. Sui 265 posti previsti, al momento solo 206 sono quelli autorizzati e ‘effettivi’: all’interno di queste sistemazioni risultano alloggiati ora 200 beneficiari, tra i quali 62 a Cuneo città, 27 ad Alba, 40 a Bra, 24 a Fossano, 7 a Savigliano, 4 a Saluzzo e altri 36 nei centri minori. Tra loro ci sono, suddivisi in 52 strutture, 153 uomini singoli, 29 donne singole, 15 nuclei familiari monoparentali (madri o padri soli con figli minorenni) e 3 famiglie. Sono in fase di autorizzazione altri 39 posti, mentre per i 20 restanti non si è ancora trovata una sede adeguata. Oltre a offrire casa e vitto con una piccola rendita mensile (il ‘pocket money’ di 2,50 euro al giorno), il progetto prevede percorsi di apprendimento dell’italiano, interventi di informazione legale, percorsi formativi e di riqualificazione lavorativa e azioni di sostegno per i soggetti deboli. Ad oggi sono attivi sul territorio circa 40 tirocini, più altri contratti lavorativi. L’attività di mediazione linguistica e interculturale ha erogato circa 550 ore di servizio, mentre 17 rifugiati (più altri 12 non aderenti al SIPROIMI) si sono rivolti al servizio di supporto etnopsicologico.
 
Di tutto questo si occupano 55 operatori assunti dalle cooperative, più i consulenti esterni (psicologi, avvocati, operatori sociosanitari e altri). Su questi ultimi si sono appuntati i principali rilievi mossi dal consigliere di opposizione Beppe Lauria: “A volte si ha la percezione che tutto questo serva solo a dare lavoro alla cooperativa sociale, all’avvocato, al mediatore culturale: sarebbe bene sapere con quali criteri questi collaboratori vengono scelti e chi interloquisce con queste persone”. Altri rilievi hanno riguardato il sistema dei controlli: nell’arco del 2018 i dati parlano di 11 ispezioni. Troppo poche, obietta Lauria, anche tenuto conto che “il sopralluogo dura in media un’ora e consta di una serie di attività tra cui il colloquio con i soggetti laddove presenti: sembra un lasso di tempo davvero esiguo”.
 
La consigliera del Movimento 5 Stelle Silvia Cina ha invece richiamato l’attenzione sull’eterna querelle del Movicentro: “Non sappiamo se tra coloro che dormono al Movicentro ci siano persone che sono passate per i CAS o per gli SPRAR” ha risposto l’assessore Manassero. La questione della ‘misurabilità’ dei risultati pone in effetti qualche problema, perché essendo l’adesione al SIPROIMI volontaria - così come è facoltativa la scelta dei comuni di accogliere - non c’è modo di sapere cosa accada dopo il fatidico semestre. “I percorsi di uscita sono diversificati” ha osservato a questo riguardo Nola: “Molto dipende dal loro bagaglio culturale di partenza: c’è chi esce con un lavoro e con un percorso autonomo, altri lasciano l’Italia. E non tutti ci fanno sapere cosa faranno”.

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