CUNEO - Sarà un vero affare questo PNRR?

Le riflessioni dell'ex senatore e sindaco di Cuneo Giuseppe Menardi: "Gli italiani dovranno pagare un debito enorme, a fronte di vantaggi limitati e con un rischio di tenuta dei conti pubblici"

Giuseppe Menardi

Giuseppe Menardi 17/05/2023 17:09

"Si chiama Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ed è il Piano approvato nel 2021 dall’Italia per rilanciare l’economia dopo la pandemia di Covid–19, al fine di permettere lo sviluppo verde e digitale del Paese". Approfondendo il significato di Ripresa, Resilienza, Sviluppo verde e digitale (dovremmo dire) della Nazione che suona meglio rispetto al significato Paese, almeno in italiano, ci siamo persi. Infatti, cosa vuol dire Ripresa l’abbiamo capito: significa l’impatto che questa quantità di denaro, immessa nelle attività proposte dal Piano, avrà nello sviluppo della economia reale. Dell’accezione concreta del termine resilienza facciamo fatica a comprenderne la traduzione pratica. Infine, dello sviluppo verde e digitale, ci pare un’ovvietà, nel senso che l’attenzione al “verde” è ormai parte della cultura del mondo occidentale, e la digitalizzazione della nazione è un obbligo insito nelle economie di tipo industriale e post industriale del Mondo. Le perplessità maggiori però le abbiamo avute quando abbiamo letto, per ragioni professionali, le indicazioni governative delle 6 missioni e delle 16 componenti, e poi quando abbiamo incontrato alcuni dei tecnici e funzionari che hanno la responsabilità della messa a terra di questo colossale Piano.
 
La prima osservazione è che ci pare non ci sia una connessione tra: a) la quantità veramente importante di missioni nelle quali è compreso lo scibile umano e b) la sostenibilità, ovvero la individuazione precisa secondo una priorità nazionale degli interventi. A questo punto però abbiamo capito che, le parole sottese dall’anagramma PNRR, hanno lo scopo di consentire qualsiasi intervento e dipingerlo di “verde–digitale“. Purtroppo questa è la conseguenza della totale assenza in Italia di una programmazione, se non decennale almeno per qualche anno, cioè il tempo necessario per concludere di volta in volta i programmi scelti. Ma appunto, prima di tutto è necessario avere dei piani, e poi scegliere quelli sui quali impegnarsi. Naturalmente questa non è una colpa dell’attuale Governo, è però un dovere di questo Esecutivo arginare la nuvola degli interventi proposti, ordinarli secondo una programmazione coerente con gli obiettivi politici del governo, scrivere norme di attuazione semplici, selezionare un gruppo qualificato e soprattutto competente di tecnici e politici in grado di assicurarne una gestione ordinata e trasparente.
 
Dall’esperienza professionale che stiamo vivendo ci pare che questo sia l’ostacolo più urgente da superare per procedere negli adempimenti del PNRR. Ci piacerebbe essere seriamente smentiti, ma a parte qualche caso seppure significativo ed importante come l’alta velocità, gli interventi iscritti nelle 16 componenti ci sembrano più il frutto delle lobby del territorio ed economiche o industriali che non la scelta, discendente dalla domanda concreta ed oggettiva e della conseguente possibilità di sviluppo ed implementazione scientifica e merceologica. La confusione è ancora più forte se si tiene conto che molte missioni non hanno una ricaduta diretta sul piano economico, anzi sono un’attrazione di spesa corrente che sovente è la vera nemica dello sviluppo economico. Questo quadro malauguratamente così negativo rappresenta solo, seppure siano le più importanti, le condizioni al contorno. Quando si entra nella realtà, la situazione appare sfortunatamente veramente al limite del fallimento. 
 
Ci è capitato di vedere piani di ristrutturazione o di nuove opere, che si tratti di fabbricati residenziali, scuole, ospedali, installazione di pannelli solari o quant’altro, individuati dai terminali territoriali titolari, gestiti con un addomesticamento delle regole attuali, come gli accordi quadro sia di progettazione che di esecuzione, con Progetti di fattibilità tecnico economica posti in gara di appalto integrato. In queste situazioni normalmente si ottengono opere scadenti, si rischiano infiltrazioni malavitose, si trascinano contenziosi per gli anni a venire. Che fare? Ci pare difficile mettere in careggiata una vettura scassata, in più come per gli stadi di Venezia e Firenze qualcuno dovrà rinunciare alle aspettative che aveva alimentato nei cittadini su fantastici progetti.
 
Inoltre è scarsa una struttura tecnica di interfaccia, fra soggetti esecutori e committente, come sono i Responsabili Unici del Procedimento, preparati e competenti. La scuola non li ha formati e non sempre, negli uffici tecnici pubblici, ci sono le situazioni migliori per fare crescere le competenze di chi vi lavora. Con questi presupposti il rischio è che, anziché un affare questo PNRR diventi una sfida vera, per la resilienza dei cittadini. Abbiamo così capito perché si è introdotto questo termine, é riferito alla capacità degli italiani di piegarsi ma non spezzarsi davanti al fallimento. Essi dovranno pagare un debito enorme, a fronte di vantaggi limitati e con un rischio autentico di tenuta dei conti pubblici, in un futuro abbastanza prossimo. Per il Governo di Giorgia Meloni un impegno senza precedenti. A fronte di una eredità pesantissima, ovvero un apparato burocratico scassato e farraginoso, impossibile da ricostruire o sostituire in pochi mesi, il Presidente dovrà riuscire a superare prima i test di accesso al PNRR, costituiti dalle innumerevoli riforme con cui ci siamo impegnati con l’UE, e poi consegnare alla Nazione le opere nei tempi e nei modi previsti. Se riuscirà nell’impresa sarà un trionfo.  

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