CUNEO - Se non per Gaza, allora quando?

Le manifestazioni pro Palestina mettono in moto la solita valanga di commenti censurabili sui social: se non ci si ferma nemmeno di fronte a 20 mila bambini uccisi, allora la situazione è seria

Andrea Dalmasso 23/09/2025 10:28

Ma pensate alle cose serie, ipocriti”. Questo commento è comparso ieri sulla pagina Facebook del nostro giornale, riferito ad un articolo che raccontava la manifestazione per la Palestina andata in scena tra le vie di Cuneo. Facendo questo mestiere ho imparato ad abituarmi alla violenza verbale alla quale tante, troppe persone si lasciano andare con triste disinvoltura sui social network, ho imparato ad accettare che per tanti il web sia un vomitatoio in cui scrivere liberamente bestialità che mai si avrebbe il coraggio di dire ad alta voce. Questa volta, però, è stato diverso. Questa volta, mentre scorrevo i commenti, tanti irripetibili, troppi censurabili, mi sono fermato a riflettere qualche secondo in più. “Pensate alle cose serie”. E allora mi sono messo a pensarci davvero. Quali sono le cose serie? O meglio: quali sono le cose più serie rispetto a quelle per le quali le 2 mila persone scese in strada a Cuneo stavano manifestando? Perchè in questo caso si sta parlando di 20 mila e più bambini uccisi nella Striscia di Gaza, morti sotto i bombardamenti israeliani dall’ottobre 2023 a oggi, secondo i dati diffusi da Save the Children a inizio settembre. E se le richieste dei manifestanti comprendevano anche lo stop al riarmo e alla cooperazione occidentale con il Governo israeliano, l’appello principale era sostanzialmente questo: fermare il massacro di innocenti che sta andando in scena davanti ai nostri occhi da quasi due anni. E allora, ancor prima di ogni ragionamento politico o geopolitico, come si può pensare che le “cose serie” siano altre?  Come si può pensare, di fronte alle immagini atroci che tv e social rilanciano ogni giorno, che oltre 20 mila bambini uccisi (numero in continuo aumento) siano un prezzo tutto sommato accettabile da pagare per combattere il terrorismo? A che livello di disumanità serve arrivare per accettare un pensiero simile? Come si può, dopo aver visto corpi di bambini uccisi, bruciati, mutilati, continuare a preferire il benaltrismo? “Sì, ma il 7 ottobre”. “Sì, ma le altre guerre nel mondo”. Nessun 7 ottobre, per quanto innegabilmente atroce, giustifica ciò che sta avvenendo a Gaza. Nessun conflitto nel mondo rende più accettabile ciò che sta avvenendo a Gaza (discorso a parte meriterebbe l’assurdità di descrivere quel che sta avvenendo in Palestina come una “normale” guerra). "Manifestate per le pensioni e gli stipendi". Come se una manifestazione per una causa ne escludesse un'altra (e come se le spese per il riarmo non fossero strettamente collegate anche a pensioni e stipendi). Come si può, di fronte a migliaia di persone che chiedono di fermare questo massacro, permettersi di sentenziare, rigorosamente nascosti dietro un display o un monitor, ironizzando sul giorno scelto per lo sciopero? Una dinamica, questa, tipica di ogni manifestazione di protesta: per screditare le motivazioni, si attaccano le modalità (siamo sicuri, a margine, che chi ridacchia degli scioperi organizzati di venerdì o lunedì sia uno stakanovista irreprensibile e che lo fosse già sui banchi di scuola). Le motivazioni, però, in questo caso sono 20 mila bambini uccisi, più altre decine di migliaia rimasti senza casa, senza scuole, senza cibo. Davvero, di fronte a questo scenario, è prioritario ironizzare sul giorno scelto per la mobilitazione? Come si può da padri, da madri, da nonni, da un lato contestare ai giovani il disinteresse verso il bene comune, - altro grande classico dei commentatori da social - dall’altro sputare metaforicamente addosso a ragazzi e ragazze che scendono in strada per battersi in prima persona per una causa? Perchè ieri a sfilare a Cuneo c’erano tantissimi giovani e - anche se dispiace alimentare una sorta di scontro tra generazioni - molto spesso i commenti più inaccettabili arrivano da persone dalle quali ci si aspetterebbero una certa saggezza e un certo senso della misura dati dall’età, e invece no. Ci sono le legittime divergenze di opinioni, ci sono le legittime distanze politiche, ma ci sono anche le situazioni in cui è opportuno fare un passo indietro mettendo da parte le divisioni: il giudizio su 20 mila bambini uccisi non può essere un’opinione, nè materia di scontro politico. Se si arriva a contestare anche chi chiede di fermare questa carneficina, allora si farebbe prima ad ammettere che si è infastiditi non dai contenuti della protesta, ma semplicemente dal fatto che qualcuno ancora non si è arreso all’ignavia e sceglie di mettere corpo e faccia per sostenere una causa.  “Parlare di Palestina non è parlare di politica, è parlare di diritti umani”, hanno detto ieri in piazza Europa i promotori della manifestazione. Ed è così, dal momento che anche l’Onu, tramite una sua inchiesta indipendente, ha certificato che a Gaza è in corso un genocidio. Da singoli cittadini abbiamo quasi un solo strumento, la nostra voce: e se non è una “cosa seria” alzare la voce contro un genocidio, allora che cosa lo è?

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