CUNEO - Stefano, il Santo cuneese che cercò di convertire al cristianesimo il Cadì di Gerusalemme e finì giustiziato

Oggi ricorre il cinquantesimo anniversario della sua canonizzazione. Semidimenticato, di lui rimane poco più di niente

Samuele Mattio 14/11/2020 15:50

 
Con una pandemia in atto non è certo il caso di dilettarsi a far sondaggi, ma di certo sarebbe stato interessante allestire un banchetto in corso Nizza per stimare quanti conoscono qual è il Santo di Cuneo. 
 
Probabilmente in molti avrebbero detto di getto San Michele, facendo confusione con il Santo Patrono, ma la risposta, se intesa in senso stretto, sarebbe risultata sbagliata. Al momento l’unico Santo di Cuneo si chiama Stefano Turelli e proprio oggi, sabato 14 novembre, sono trascorsi 50 anni dalla sua canonizzazione, avvenuta nel 1970, e 629 anni dalla sua morte.
 
Se la cosa non vi sorprende, potete tranquillamente passare alle pagine successive, non scoprirete nulla di nuovo. Se invece non avete mai sentito parlare di Stefano da Cuneo, questa potrebbe essere l’occasione buona per porvi rimedio.
 
State continuando a leggere, s’intuisce che non abbiate contezza di chi fosse, ma non biasimatevi troppo: oggi di lui a Cuneo non rimane quasi nulla, se non una via nel quartiere San Paolo, peraltro piuttosto nascosta. Si tratta di un collegamento semipedonale dove trova sede una scuola per l’infanzia afferente all’Istituto Comprensivo di Viale Angeli. La decisione di intitolare la via al santo fu fatta dall’amministrazione comunale nel 2000, oramai vent’anni fa. Cosa forse ancor meno nota, ma certo più degna di menzione, è la presenza di un quadro che lo ritrae nel refettorio del convento della Madonna degli Angeli con in mano una lettera indirizzata all’uomo che ne decreterà la condanna a morte. Ma per raccontarne la storia andiamo con ordine.
 
L’unica cosa che le fonti storiche ci riportano con certezza è la data della sua morte: Stefano, che era un frate minore francescano, fu martirizzato il 14 novembre 1391 a Gerusalemme insieme ad altri tre suoi confratelli: Nicola Tavelić, Deodato Aribert da Ruticinio e Pietro da Narbona. Si ipotizza che quando morì avesse cinquant’anni.
 
“Nel mezzo del cammin di nostra vita” Stefano, dopo otto anni di permanenza in Corsica a cercare di convertire gli “eretici” bogomili, chiese e ottenne dai suoi superiori di andare a Gerusalemme, e fu assegnato al convento di Monte Sion, dove i francescani svolgevano il loro ministero con discrezione, dedicandosi alla preghiera e all’assistenza dei pellegrini cristiani che si recavano in Terra Santa da ogni angolo d’Europa. 
 
A un certo punto alcuni di loro si misero in testa di convertire al cristianesimo le autorità musulmane di Gerusalemme, che allora governavano in un clima di relativa tolleranza (per avere un paragone basti pensare alle inquisizioni che avvenivano in quegli anni nelle nostre valli nei confronti delle eresie catare e valdesi). 
 
Dopo aver ricevuto le autorizzazioni necessarie una delegazione di frati del convento - oltre a Stefano da Cuneo i già citati Nicola Tavelić, Deodato Aribert da Ruticinio e Pietro da Narbona - si recò davanti Cadì di Gerusalemme alla presenza di molti altri musulmani. Questi ascoltò attentamente le parole dei frati minori, che lessero una lettera in cui spiegarono gli errori dell’Islam e la necessità di convertirsi al cristianesimo per evitare le pene dell’inferno. Nel finale però i quattro esagerarono, apostrofando Maometto come “lussurioso” e “omicida”. A differenza di quanto accade oggi a chi esibisce le vignette satiriche di Charlie Hebdo sul profeta, fu offerta loro la possibilità di ritrattare quanto avevano asserito. Al fiero rifiuto dei frati, votati al martirio, seguì la condanna a morte, che essi attesero in carcere per tre giorni, vittime di molte angherie. Prima furono malmenati dalla folla inferocita, poi la martirizzazione passò per vari colpi di frusta e si concluse con la scimitarra. Dopo l’esecuzione della pena capitale i corpi furono bruciati e le ceneri disperse, per evitare che venisse data loro sepoltura. 
 
“I quattro frati, protagonisti della tragica avventura missionaria, sono mossi da una duplice intenzione: quella di predicare la fede cristiana confutando coraggiosamente, non certo forse cautamente e saggiamente, la religione di Maometto, e quella di sfidare e provocare il rischio del sacrificio della loro vita”: a parlare è papa Paolo VI, che il 21 giugno 1970 canonizzò i martiri francescani. “Essi non sono figure anacronistiche e per noi irreali - continuò il pontefice -, anzi, ci dicono e ci rimproverano la nostra incertezza, la nostra facile volubilità che talora preferisce le idee alla moda alla fede cristiana. Essi ci ammoniscono e ci esortano: bisogna avere il coraggio della verità, il coraggio cristiano”. 
 
Riportare le frasi di papa Montini rende bene l’idea dei cambiamenti avvenuti nella Chiesa negli ultimi cinquant’anni. Oggi, difficilmente Papa Francesco pronuncerebbe affermazioni così divisive. 
 
Ma torniamo al Nostro, che dopo il martirio ha dovuto attendere sei secoli prima della canonizzazione. Nel 1889 venne beatificato da papa Leone XIII: il pontefice della Rerum Novarum scelse allora la santificazione soltanto per Nicola Tavelić. Il dibattito interno alla Chiesa se il martirio volontario sia vero martirio è durato anni e ha trovato risposta affermativa soltanto in tempi relativamente recenti, con la santificazione avvenuta nel ’70.
 
Le contrapposizioni sulla figura di Santo Stefano da Cuneo non hanno animato solamente il dibattito teologico all’interno della Chiesa cattolica, ma hanno riguardato anche gli storici. Dicevamo che la data di nascita non è certa e, a dirla tutta, non ci sono neanche documenti a testimonianza del fatto che Stefano Turelli sia nato davvero a Cuneo. Come si desume dalla storia che abbiamo raccontato, i riferimenti alla città tra Gesso e Stura latitano. Giovanni Cerutti, nella sua ‘Storia di Cuneo, avvenimenti e personaggi’ edita da Primalpe, forse ispirato da don Maurizio Risorto - autore di un saggio sul santo -, ipotizza che “(…) è probabile che la sua vocazione nell’Ordine dei Frati minori sia maturata nel fecondo ambiente della chiesa e del convento di San Francesco della nostra città”, ma lo stesso Cerutti, già presidente del Consiglio comunale, appassionato ed esperto di storia cittadina, nell’introdurre il Santo scrive “si ritiene che sia nato a Cuneo”. 
 
L’enciclopedia Treccani ha provato a ricavare qualche elemento dall’unica notizia certa della sua vita che, come detto, è la morte. Di questo evento si hanno due distinte relazioni che consentono di ricavare qualche pur insicuro elemento biografico. Quanto alla provenienza cuneese di Stefano, la “Relatio vaticana prima”, probabilmente scritta da alcuni testimoni oculari e copiata dal guardiano del Monte Sion e superiore della Custodia di Terra Santa, frate Geraldo Calvet, parla genericamente di uno “Stephanus provinciae Janue”, mentre la Relatio vaticana secunda, scritta ancora dallo stesso Calvet, specifica “Stephanus de Cunis, provincie Janue". I documenti sono i più vari: la Relatio sibenicensis, unica fonte che parla del passato di Stefano prima del martirio, lo chiama “Stefano de Turelli provintie Gianue”. Il pellegrino veneto Allegretti de Gallotti riportò l’episodio del martirio intorno al 1400 e nominò Stefano come proveniente “da Chomo presso a Zinova”. Il frate Giacomo della Marca, invece, nel 1449 lo dice “de Lanich, in vicaria Corseche”. Le testimonianze successive, con alcune varianti minori, concordano con queste ipotesi. Fa eccezione il frate minore sardo Salvatore Vitale che nel 1639, nominò il suo confratello come “Stefano de Pruneli della Vicaria di Corsica”, sostenendo provenisse dall’attuale piccola cittadina corsa di Prunelli di Fiumorbo. 
 
Insomma, siamo partiti asserendo che Cuneo ha un Santo tutto suo e ora lo mettiamo in dubbio. Come uscirne? Ci viene ancora una volta in soccorso papa Paolo VI, che in occasione della cerimonia di santificazione di Santo Stefano si rivolse con queste parole al vescovo di allora, Guido Tonetti: “Ora anche Cuneo ha il suo santo, un santo veramente cuneese. Onoratelo, imitatelo, invocatelo!”. Se lo ha detto il papa…

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