CUNEO - Tamponi, il Piemonte tra le regioni ‘virtuose’: ma in Italia non se ne fanno abbastanza

La media piemontese è di 117 tamponi ogni 100mila abitanti, quella nazionale è a 88. I ricercatori avvertono: ‘C’è chi fa meno test per evitare nuove chiusure’

Andrea Cascioli 08/05/2020 17:32

 
Quanti tamponi si fanno in Piemonte per controllare l’estendersi della pandemia da Covid-19? Abbastanza, se guardiamo alla media nazionale. Troppo pochi, se consideriamo la ‘soglia di sicurezza’ di 250 test giornalieri ogni 100mila abitanti che al momento però nessuna delle regioni italiane raggiunge - nemmeno il Veneto.
 
È la Fondazione GIMBE, attiva dal 1996 nella valutazione indipendente della sanità, a fotografare lo stato dell’arte riguardo ai test clinici. L’analisi è stata condotta sui dati della Protezione Civile che dal 19 aprile riporta per ciascuna regione, insieme al numero totale dei tamponi, anche il numero dei casi testati. In questo primo scorcio della ‘fase 2’ emerge un quadro ancora poco rassicurante e soprattutto - avvertono gli autori della ricerca - troppo frastagliato a livello locale.
 
I ‘casi testati’ identificano i soli tamponi diagnostici e la differenza tra tamponi totali e casi testati corrisponde ai tamponi di controllo, effettuati cioè sullo stesso soggetto per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test. Dall’inizio dell’epidemia sono stati effettuati in Italia 2.310.929 tamponi di cui il 67,1% diagnostici e il 32,9% di controllo.
 
“Le nostre analisi effettuate sugli ultimi 14 giorni - spiega il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta - forniscono tre incontrovertibili evidenze: innanzitutto, si conferma che circa 1/3 dei tamponi sono di controllo. In secondo luogo il numero di tamponi per 100.000 abitanti/die è molto esiguo rispetto alla massiccia attività di testing necessaria nella fase 2. Infine, esistono notevoli variabilità regionali sia sulla propensione all’esecuzione dei tamponi, sia rispetto alla percentuale di tamponi diagnostici”.
 
Suddividendo le regioni in quattro classi in base alla loro maggiore o minore propensione a eseguire test, si può affermare che il Piemonte sia tra le realtà locali ‘virtuose’ per frequenza di controlli. La nostra regione infatti segna un dato di 117 tamponi per giorno ogni 100mila abitanti, molto al di sotto del ‘modello Veneto’ (166) ma sopra alle altre due regioni più colpite dal morbo, Emilia Romagna (106) e Lombardia (99). Nelle otto province subalpine la media nelle ultime due settimane è stata pari a 5103 test al giorno, inferiore in numeri assoluti solo a Lombardia (9940) e Veneto (8151): nel 65,9% dei casi si tratta di tamponi diagnostici, in linea quindi con le proporzioni osservate sull’intero territorio nazionale.
 
Una settimana fa la stessa Fondazione GIMBE aveva inserito il Piemonte - insieme a Lombardia, Liguria e provincia autonoma di Trento - tra le quattro realtà territoriali a imminente rischio di ritorno alla ‘fase 1’ e quindi a una possibile nuova chiusura delle attività economiche. La valutazione dell’istituto si basa sul dato della prevalenza, ovvero i casi riscontrati ogni centomila abitanti, e sull’incremento percentuale nell’arco di sette giorni. Questo valore però si è ridotto dal 13,7% all’8% nell’ultima settimana, testimoniando un miglior contenimento del contagio. La prevalenza, nel frattempo, è aumentata da 594 a 641. Solo la provincia di Alessandria rimane tra le ‘zone critiche’ a rischio di una seconda quarantena, con Torino ‘sorvegliata speciale’.
 
Il vero problema è che al momento nessuna regione raggiunge standard davvero apprezzabili nell’esecuzione dei test: “I dati - scrivono gli estensori della ricerca - confermano la resistenza di alcune regioni ad estendere massivamente il numero di tamponi, in contrasto con raccomandazioni internazionali, evidenze scientifiche e disponibilità di reagenti”. Si passa dagli appena 37 tamponi per 100mila abitanti della Puglia ai 222 della provincia autonoma di Trento, con ampie variabilità anche nella percentuale di tamponi diagnostici che in Campania rappresentano solo il 25,3% del totale e in Puglia arrivano al 98%. Troppe differenze locali per uno stesso Paese pur tenendo debito conto del fatto che l’epidemia non ha avuto ovunque lo stesso impatto e che non tutte le regioni hanno le medesime possibilità di mettere carburante nella macchina della sanità. Il commissario Arcuri, d’altra parte, ha confermato che alle regioni sono già stati distribuiti 3,7 milioni di tamponi e che nelle prossime settimane ne riceveranno altri 5 milioni già acquisiti.
 
“Il governo, oltre a favorire le strategie di testing, deve neutralizzare comportamenti opportunistici delle regioni finalizzati a ridurre la diagnosi di un numero troppo elevato di nuovi casi che, in base agli algoritmi attuali, aumenterebbe il rischio di nuovi lockdown” avverte Cartabellotta. A questo scopo la Fondazione GIMBE da un lato richiama le regioni a implementare l’estensione mirata dei tamponi diagnostici, come consigliato anche dall’Oms, dall’altro chiede al ministero della Salute di inserire tra gli indicatori di monitoraggio della ‘fase 2’ uno standard minimo di almeno 250 tamponi diagnostici al giorno per 100mila abitanti.

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