CUNEO - Un’altra carrellata di testimonianze di giovani sfruttati: “Così come possiamo costruirci un futuro?”

Continua il viaggio nel mondo del lavoro: "tariffari" per i bicchieri rotti, pause negate e straordinari non pagati. E se il cliente è un Carabiniere il dipendente "in nero" lo si nasconde in cucina

Andrea Dalmasso 21/10/2021 18:43

A tre giorni dalla pubblicazione del nostro primo articolo su questo tema, proseguiamo il nostro “viaggio” nel mondo del lavoro. Un viaggio che abbiamo deciso di condurre contrapponendoci alla ormai classica narrazione dei “giovani che non hanno voglia di lavorare”, quella degli imprenditori che non riescono a trovare il personale per le loro attività, che tanto spazio ha avuto sui media, anche a livello nazionale, negli ultimi mesi. Continuiamo quindi a fare luce sui compromessi che i giovani sono spesso costretti ad accettare pur di avere uno stipendio a fine mese, su quelle situazioni in cui sul posto di lavoro vengono a mancare i più basilari princìpi di dignità e rispetto, verso la persona ancor prima che verso il lavoratore. Molte delle testimonianze che abbiamo raccolto negli ultimi giorni riguardano il mondo della ristorazione, ma anche in questo caso - come già accaduto per la nostra prima “puntata” - non mancano le segnalazioni da altri settori. Anche in questa seconda parte del nostro lavoro i giovani intervistati ci hanno chiesto di rimanere anonimi.
 
Partiamo, in ogni caso, dal racconto di una ventunenne: “Ho lavorato in un locale di una frazione di Cuneo come cameriera. Avevo un contratto da 40 ore settimanali per circa 1.200 euro al mese, senza tredicesima e quattordicesima e con i giorni festivi pagati normalmente. Sistematicamente, però, le ore effettive erano molte di più: almeno 50 a settimana (spesso anche oltre), con quelle di straordinario mai retribuite. Le cose più gravi, però, erano altre. Per esempio ognuno di noi dipendenti doveva pagare per ogni bicchiere o piatto rotto, oltre che per ogni ordine sbagliato: esisteva addirittura un ‘tariffario’ per questo (ad ogni tipo di bicchiere o stoviglia rotto corrispondeva un prezzo diverso). In più venivamo puniti a livello economico anche se dimenticavamo una luce accesa o per qualunque altro tipo di spreco. Il servizio era dalle 18 fino anche alle 2 o alle 3: i titolari intorno alle 23 mangiavano, a noi non era permesso, e se volevamo del cibo lo dovevamo pagare (quando al colloquio iniziale ci era stato detto che ci avrebbero fornito loro il pasto). In tutto il servizio ci erano concessi circa 10 minuti di pausa, che però ci venivano negati se a giudizio dei titolari la serata stava andando male. Inoltre il trattamento a livello umano era indecente: una sera durante un servizio mi sentii male, assentandomi per cinque minuti per prendere una medicina in bagno. Al mio ritorno scoprii che uno dei titolari aveva cronometrato la mia assenza, dicendomi che non avrei più avuto diritto alla pausa per quella serata, in quanto l’avevo già fatta”.
 
Si resta poi nel mondo della ristorazione con la testimonianza di una venticinquenne di Borgo San Dalmazzo: “Alcuni anni fa ho lavorato per alcuni mesi in una pizzeria, completamente in nero. Queste erano le condizioni: il turno era dalle 17.30 fino a fine servizio, quindi anche alle 2 o alle 3, per un compenso complessivo di 30 euro, vale a dire tra i 3 e i 4 euro all’ora”. “Due anni fa ho fatto il cameriere per circa otto mesi in una pizzeria: - racconta invece un ventunenne di Villafalletto - avevo poco più di 18 anni, lavoravo il venerdì, il sabato e la domenica. Non mi posso lamentare della paga, che era più che adeguata, ma per otto mesi non ho mai avuto un contratto. La cosa ‘curiosa’ che mi preme sottolineare è quel che succedeva quando tra i clienti c’erano Carabinieri, finanzieri o comunque membri delle forze dell’ordine: di norma ero un cameriere, ma in quei casi mi venivano sempre affidati compiti in cucina, in maniera che rimanessi ‘nascosto’, lontano da occhi che non mi dovevano vedere”.
 
Poi, come detto, ci sono le testimonianze che arrivano da altri “mondi”, come quella di una ventenne: “Ho studiato architettura al liceo Artistico. Durante l’Università ho poi lavorato per circa sei mesi in uno studio di un architetto in un paese vicino a Cuneo. L’impiego era sostanzialmente a tempo pieno, totalmente in nero, per 50 euro a settimana, svolgendo le stesse mansioni di un collega laureato, molto più pagato e tutelato di me. Talvolta mi venivano anche affidati compiti da svolgere fuori dallo studio, che ho sempre dovuto sbrigare con mezzi miei, totalmente a mie spese. Dopo che le mie richieste di regolarizzazione, o quantomeno di aumento del compenso, venivano sistematicamente ignorate, ho deciso di andarmene”. 
 
Questa mia esperienza risale ad alcuni anni fa. - spiega invece una ventiquattrenne di Borgo San Dalmazzo - Venni assunta come tirocinante in un negozio di abbigliamento, con paga di 600 euro al mese per 40 ore settimanali. Era una condizione che accettavo tranquillamente, perché pensavo di imparare un mestiere con persone che avessero la pazienza di insegnarmelo. Nel concreto invece avevo le stesse responsabilità di chi guadagnava il doppio di me, facendo doppi turni e oltre 50 ore a settimana, venendo inoltre messa continuamente in discussione. Il tutto per poi sentirmi dire che l’azienda aveva avuto un calo di vendite, che non ce l’avrebbero fatta ad assumermi con un contratto di lavoro più stabile, e andando quindi avanti con un tirocinante dopo l’altro. Ho 25 anni e non vivo più con i miei genitori: come si fa a costruirsi un futuro in questo modo?”.
 
Come già specificato nel nostro primo articolo, è chiaro che fare di tutta l’erba un fascio sarebbe un errore. Non è sempre così, non sempre il lavoro somiglia allo sfruttamento, gli imprenditori onesti e corretti esistono (e ci mancherebbe): proprio per questo, però, è giusto fare luce sulle situazioni che stiamo raccontando, che restano comunque troppo frequenti e che macchiano in alcuni casi la reputazione di intere categorie. Nei prossimi giorni pubblicheremo una terza puntata di questo nostro “viaggio”, proseguendo con altre testimonianze raccolte.

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