FOSSANO - Muore di Covid senza vaccino. I figli: “Papà ha affrontato una guerra senza armi”

“Non era un no vax, ma aveva paura” spiega la famiglia del 76enne fossanese Edgardo Toti: “Era in salute quando ha contratto il virus, avrebbe potuto vivere a lungo”

Andrea Cascioli 24/11/2021 19:10

 
Edgardo Toti non era un “no vax”, pur non essendosi vaccinato contro il Covid. E nemmeno una persona dalla salute già debilitata, come molte altre vittime del virus. Eppure questo non gli ha evitato di finire a sua volta in quel tremendo elenco di decessi che, dopo quasi due anni, abbiamo ormai smesso di considerare qualcosa di più di una serie di numeri.
 
“Purtroppo a volte sembra un tema lontano, ma è fin troppo vicino” dice oggi il figlio Danilo, che insieme al fratello Sandro ha voluto raccontare ciò che è successo: “Questo non è un invito a vaccinarsi, - spiega - semplicemente un invito a riflettere. Nessuno sa dove sta la ragione o il torto, ma chi ha vissuto una brutta esperienza e la condivide può evitarla a qualcun altro. Se so che una strada porta a un precipizio, avviso quelli che passano. Dopodiché ci sarà sempre chi non vorrà crederci o chi farà un uso sbagliato di quell’informazione, prendendola come una provocazione”.
 
Settantasei anni, fossanese, Edgardo Toti (Dodo, per gli amici) era molto conosciuto in città perché era stato responsabile dell’ufficio comunale Manifestazioni per lunghi anni, contribuendo alla realizzazione del Palio e degli altri principali eventi. Ma era apprezzato anche per il suo impegno sportivo come presidente e istruttore dell’Arc Club, il sodalizio che dal 1985 ha cresciuto generazioni di arcieri. Il Covid lo ha portato via sabato scorso, il 20 novembre, dopo un ricovero di quindici giorni nell’ospedale di Saluzzo.
 
Un decorso rapido, cinque giorni di peggioramenti e poi una settimana attaccato alle macchine. Nessuna “patologia pregressa”, per usare il gergo medico ormai divenuto di uso comune: “Il Covid gli ha mangiato i polmoni in cinque giorni, - spiega il figlio - ma il primario mi ha confermato che era in perfetta salute prima della malattia e avrebbe potuto vivere ancora per molto. Ricordo le sue parole: ‘Abbiamo una Ferrari senza motore’”. La sua, hanno scritto Danilo e Sandro nella loro lettera aperta, è stata “una guerra senza armi”: “Aveva scelto di non vaccinarsi e noi abbiamo rispettato questa scelta, pur non condividendola e anche se ci aveva pensato più volte, purtroppo non ha cambiato idea in tempo”.
 
All’origine della decisione c’era un trascorso personale, una brutta tubercolosi che nel 1970 lo aveva costretto a un ricovero in sanatorio, cominciato proprio il giorno dopo il matrimonio e protrattosi per un anno intero. Un polmone era cicatrizzato ma le analisi successive erano sempre state perfette: “Aveva paura che il vaccino risvegliasse quella patologia. Per questo ha prenotato e disdetto l’appuntamento”. Edgardo, insomma, faceva parte di quell’ampia ma silenziosa schiera di “riluttanti” che preferiscono restare nell’indecisione, pur senza sposare la propaganda fracassona contro i vaccini o le bufale del web. Il papà non era nemmeno sui social, conferma Danilo, ma frequentava molte persone con idee differenti e preferiva dar retta - in cuor suo - a chi ne assecondava le paure: “Qualche giorno fa in televisione ho sentito parlare di ‘infodemia’. È vero che le informazioni possono essere nocive e probabilmente questo contrasto di opinioni intimorisce molta gente”.
 
Tra le polemiche sul vaccino - o addirittura sull’esistenza della malattia - ci si dimentica che esistono vittime reali in questa assurda guerra condotta troppo spesso non contro il virus, ma contro una fazione avversa. La speranza è che testimonianze come questa aiutino almeno a prenderne coscienza.

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