GORZEGNO - Giro di prestiti usurai in tre province, il processo si chiude senza responsabili

Dopo nove anni di indagini e udienze due imputati erano già deceduti, il terzo è stato assolto. Al centro la figura di un mediatore d’affari di Gorzegno

Andrea Cascioli 14/12/2023 19:25

È stata una delle più imponenti indagini per usura nella Granda, con trentamila conversazioni, tra intercettazioni telefoniche e ambientali, che i carabinieri di Ceva e di Mondovì avevano censito a carico del principale accusato. Sarebbero poi state dichiarate inutilizzabili in tribunale, per carenza di motivazione nel decreto autorizzativo. Il cammino giudiziario della vicenda, cominciata nell’ormai lontano 2014, non è stato meno accidentato: dopo innumerevoli udienze e rinvii il processo si è chiuso con la piena assoluzione dell’unico imputato ancora in vita. Gli altri due erano già deceduti, uno nel 2016, l’altro lo scorso giugno.
 
L’inchiesta della Procura di Cuneo era partita dalla denuncia di un imprenditore del Cebano contro S.C., classe 1959, mediatore d’affari di Gorzegno. L’autore della querela raccontava di avergli dovuto restituire 108mila euro, a fronte di un debito di circa 35mila. Interessi stellari che crescevano del 10% ogni dieci giorni dalla data di restituzione pattuita. Nella “rete” sarebbero caduti altri nove imprenditori delle province di Cuneo, Savona e Torino. Tutte persone con l’acqua alla gola, alle quali il presunto usuraio avrebbe chiesto di consegnare assegni in bianco, già firmati. La minaccia era di incassarli e mandarli così in protesto, qualora i debitori non fossero stati in grado di onorare le loro promesse.
 
Anche i due coimputati, gli albesi C.D. (deceduto) e J.D. (suo figlio, classe 1984), erano entrati nel “giro” come debitori del gorzegnese. La loro azienda di infissi e serramenti viaggiava in cattive acque e sarebbe fallita pochi anni dopo. Per mascherare i prestiti, sostengono gli inquirenti, S.C. orchestrava finte compravendite di auto e orologi Rolex: ne risultava un quadro paradossale, dove i titolari di ditte individuali già oberate da enormi debiti figuravano come acquirenti di veicoli di lusso e oggetti preziosi. “In dieci anni avremo comprato veicoli per 50mila euro con questo metodo, ma per noi era anche vantaggioso perché in concessionaria non potevamo andare” ha spiegato il coimputato 39enne, nel corso della sua audizione. In un periodo in cui gli affari andavano male, S.C. si sarebbe offerto di cambiare alcuni assegni a suo padre: “Ci prestava soldi con interessi del 5-7%, con gli anni siamo arrivati al 10%. A volte avevamo la forza di pagare tutto l’assegno, altre volte andavamo in difficoltà e prendevamo un altro assegno per il mese successivo”. In tutto avrebbero ricevuto circa 20mila euro, prima di finire in protesto: “Quando non si hanno più altre strade bisogna fare così”.
 
Nell’abitazione del principale accusato, finito agli arresti domiciliari nella prima fase delle indagini, erano stati effettuati sequestri preventivi di preziosi e contanti per oltre 50mila euro. Diverse persone coinvolte nell’inchiesta - un agricoltore albese, una ballerina e un artigiano edile di Cairo Montenotte - sono stati giudicati a suo tempo con riti alternativi. Secondo l’accusa erano anche loro, al pari dei due serramentisti albesi, procacciatori di clienti per colui che gestiva l’intero affare: “Negli ultimi tempi - ha ricordato il coimputato - menzionava ‘uno di Ceva’, senza fare nomi: non ho mai saputo però chi fosse, né se esista davvero. A volte, quando non riuscivamo a pagare, ci diceva che ‘quello di Ceva è arrabbiato’”.

Notizie interessanti:

Vedi altro