BRA - Scoperta una ramificazione della 'ndrangheta a Bra: coinvolti carabineri, guardiacarcere e funzionari

La cosca faceva capo ai fratelli Luppino. Tra i principali business lo spaccio di cocaina, ma avevano anche agganci nella pubblica amministrazione

Redazione 30/06/2020 14:41

Una ramificazione della ‘ndrangheta è stata sgominata dalle forze dell’ordine a Bra. Dodici le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Tribunale di Torino con accuse pesantissime: associazione di stampo mafioso e traffico di droga. L’attività investigativa è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, mentre gli arresti sono stati effettuati dalla Squadra Mobile di Torino e dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Cuneo. I dettagli dell’operazione sono stati illustrati stamattina, martedì 30 giugno, in una conferenza stampa svoltasi presso il Palazzo di Giustizia di Torino. Tra gli indagati a piede libero ci sono anche tre carabinieri, due agenti di Polizia penitenziaria e un impiegato nella pubblica amministrazione.
 
L'indagine riguarda l'attività di una "locale" di ‘ndrangheta attiva sotto la Zizzola (la prima scoperta nella Granda) riconducibile alla famiglia Luppino, originaria di Sant'Eufemia di Aspromonte, provincia di Reggio Calabria. La cosca, facente capo ai fratelli Salvatore e Vincenzo Luppino, risulta collegata alla potente famiglia Alvaro di Sinopoli. Tra i principali business il traffico di cocaina, ma i Luppino sono considerati personaggi ‘di spicco’  al punto da riuscire a manipolare l'assegnazione dei posti in occasione di “Cheese” (la cui organizzazione è risultata estranea ai fatti) e tanto da avere agganci all’interno della pubblica amministrazione.
 
Due dei carabinieri sono indagati per episodi avvenuti all'epoca in cui prestavano servizio a Bra: secondo gli inquirenti avrebbero trasmesso alla famiglia informazioni riservate, le accuse nei loro confronti sono di favoreggiamento e rivelazione di segreti d’ufficio aggravati dall’agevolazione mafiosa.
 
Il terzo carabiniere, che invece era in servizio a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), avrebbe a sua volta offerto ai Luppino altre notizie riservate: per lui, oltre al favoreggiamento e alla rivelazione di segreti di ufficio, si aggiunge l’accusa di accesso abusivo ai sistemi informatici.
I due agenti di Polizia penitenziaria lavoravano invece nel carcere di Saluzzo dove era detenuto uno degli uomini al centro dell'inchiesta, Salvatore Luppino, al quale avrebbero fatto avere bevande alcoliche e altri beni non permessi: sono ora indagati per corruzione aggravata dall'agevolazione mafiosa.

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