BORGO SAN DALMAZZO - A Torino parte il processo di appello per il caso della ‘mummia di Borgo’

Il corpo della ‘santona’ Graziella Giraudo fu ritrovato in casa della consuocera a 17 anni dalla morte: parenti e seguaci l’avevano custodita in attesa della resurrezione

Andrea Cascioli 29/10/2019 18:50

Sei anni fa il caso aveva attirato l’attenzione di tutta Italia per la sua incredibile dinamica. Della ‘mummia di Borgo San Dalmazzo’ si parlò per mesi, ricostruendo la vita e la morte di Graziella Giraudo, la ‘santona’ borgarina trovata mummificata nella notte del 27 ottobre 2013.
 
Da oltre tre lustri nessuno aveva più notizie di lei, nemmeno i vicini che credevano fosse stata ricoverata in una casa di riposo. Lei invece non si era mai mossa da quell’alloggio in una villetta di via Pedona che condivideva con la consuocera Rosa Giraudo. L’autopsia dell’équipe guidata dal dottor Mario Abrate consentì di stabilire che era morta per cause naturali tra il 26 e il 27 aprile del 1996, all’età di 51 anni: il suo corpo però si era preservato intatto, in uno stato di mummificazione naturale.
 
Per questo il gruppo di preghiera che la guaritrice animava insieme alla consuocera aveva deciso di nascondere al mondo la sua morte, in attesa di una possibile resurrezione della ‘Gresi’. Un segreto custodito per diciassette anni da chi l’aveva amata e seguita in vita: oltre alla consuocera, sarebbero stati a conoscenza dei fatti l’ex marito Aldo Pepino, il figlio Alfio, la figlia Dianora, il genero Valerio Allinio e sua sorella Elda Allinio. Solo dopo la morte e il funerale di Rosa Giraudo, nell’ottobre 2013, la scoperta del cadavere seduto in poltrona, con la mano destra alzata in segno di benedizione, il busto eretto, le braccia e le gambe avvolte in lenzuola di lino e cotone, come un sudario.
 
Nel processo di primo grado erano stati otto i rinvii a giudizio, con due patteggiamenti, tre condanne e tre assoluzioni con formula piena. I coniugi Dianora Pepino e Valerio Allinio avevano patteggiato un anno di reclusione per occultamento di cadavere. All’ex marito e al figlio, al termine del procedimento con rito abbreviato, era stata comminata una condanna di un anno, mentre Elda Allinio, sorella del genero della ‘santona’, era stata condannata a soli quattro mesi in considerazione del suo ruolo marginale nella vicenda.
 
I tre hanno appellato la sentenza e domani, mercoledì 30 ottobre, comincerà il processo a Torino. Gli avvocati Michele Forneris, legale di Aldo e Alfio Pepino, e Adalberto Pasi, difensore di Elda Allinio, chiederanno alla Corte d’Appello l’assoluzione piena per i loro assistiti.
 
L’avvocato Pasi sottolinea come la Allinio “non faceva parte in alcun modo del ‘gruppo di preghiera’ e si era riavvicinata a sua madre Rosa solo durante la malattia di quest’ultima”. Il giudice di primo grado ha riconosciuto come giustificazione il fatto che la figlia non volesse arrecare danno a sua mamma, denunciando il fatto che custodisse in casa le spoglie della consuocera: “Ma questa spiegazione - obietta il difensore - si basa sull’ipotesi indimostrata che la Allinio ‘non poteva non sapere’ per il semplice fatto che frequentava la madre nell’ultimo periodo della sua vita”.

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