CUNEO - Arresto di Messina Denaro, il procuratore capo di Cuneo: “Non tocchiamo 41 bis e intercettazioni”

Ex pm antimafia e artefice del processo Capaci bis, Dodero plaude al lavoro dei colleghi: “Gli hanno fatto terra bruciata attorno. Ma Cosa Nostra non è morta”

Andrea Cascioli 16/01/2023 19:00

L’arresto di Matteo Messina Denaro è un colpo formidabile, ma non un colpo mortale a Cosa Nostra. Ne è convinto il procuratore capo di Cuneo Onelio Dodero, un magistrato che con la mafia si è confrontato negli anni passati alla DDA di Torino e poi come capo della Procura di Caltanissetta.
 
In questa veste aveva rappresentato la pubblica accusa nel processo “Capaci bis” contro organizzatori ed esecutori dell’attentato che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e ai tre agenti della scorta. Al Capaci bis è seguito un altro procedimento proprio nei confronti di Messina Denaro, l’ultimo dei capi della stagione stragista, l’unico ancora latitante fino a stamattina: nell’ottobre 2020 la Corte d’Assise di Caltanissetta lo ha condannato all’ergastolo in contumacia.
 
“La mafia è l’espressione patologica del comportamento umano che sa adeguarsi a tutto” avverte Dodero, allontanando le suggestioni di chi parla di un declino ormai irreversibile di Cosa Nostra. Va dato atto, aggiunge, “del lavoro eccezionale svolto dai colleghi palermitani da molti anni a questa parte, sono riusciti a fare terra bruciata attorno a Messina Denaro. Diamo merito a chi è riuscito a tessere questa ragnatela fino ad arrivare al centro”. Il procuratore non crede a ipotesi di tradimenti o alla volontà dell’ex primula rossa, piegato dalla malattia, di consegnarsi allo Stato: “Immagino cominceranno a fiorire le solite storie sulla trattativa, ma ci credo poco. Questa cattura è frutto di anni di indagini e di sacrifici, anche se sicuramente si ha a che fare con una persona gravemente malata”.
 
Sembra che al “capo dei capi” si sia riusciti ad arrivare anche a partire dalle conversazioni telefoniche, nelle quali la sorella parlava delle cattive condizioni di salute di Messina Denaro. Una prova, sottolinea Dodero, che “le intercettazioni sono uno strumento ineliminabile, perché soprattutto in certi settori non si arriva se non c’è un orecchio”. Altrettanto si può concludere riguardo al 41 bis, un istituto fortemente discusso in questi giorni anche dalla società civile: “Bisogna rendersi conto che si ha a che fare con personaggi che hanno fatto scelte ben precise di carattere culturale, una volta si sarebbe detto ideologiche”. Dodero invita a non confondere i piani, paragonando la situazione di singoli detenuti come l’anarchico Alfredo Cospito (in attesa di giudizio per l’attentato dinamitardo ai carabinieri di Fossano che potrebbe costargli l’ergastolo) a quella dei boss: “Cospito ha commesso reati ma la sua pericolosità non è certo paragonabile a quella dei settori mafiosi. In quei casi è opportuna una valutazione. Ma se si retrocede rispetto a questi istituti, la lotta contro il crimine organizzato diventerà molto più difficile”.

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