CUNEO - Assolta l’investitrice di Francesco Scarmato. Urla e polemiche in aula: “Vergogna”

L’infermiera 32enne era alla guida dell’auto che travolse la bicicletta, con a bordo il 17enne e un amico, a San Rocco Castagnaretta. La difesa: “Aveva la precedenza”

a.c. 15/07/2022 16:10

Da una parte c’è il sollievo di una giovane donna, protagonista suo malgrado di una tragedia. Dall’altra lo strazio e le grida “vergogna” dalla famiglia e dagli amici di Francesco Scarmato, increduli di fronte a una sentenza che non credevano possibile.
 
Il giudice Elisabetta Meinardi ha assolto dall’accusa di omicidio stradale, per non aver commesso il fatto, la donna che nella notte tra l’11 e il 12 luglio 2019 travolse e uccise il 17enne di Cuneo. C.M., infermiera di 32 anni, stava rientrando a Borgo San Dalmazzo dopo una serata trascorsa lavorando fino a tardi in sala operatoria, al Santa Croce. All’altezza dell’incrocio tra corso De Gasperi e via San Maurizio, di fronte al cimitero di San Rocco Castagnaretta, la Ford Focus aveva investito una bicicletta a bordo della quale viaggiava la vittima con un suo amico e coetaneo. Per Scarmato, studente dell’Enaip, classe 2001, molto conosciuto in città anche per i suoi trascorsi sportivi con l’Olmo e l’Auxilium, non c’era già più nulla da fare al momento dell’impatto. Vani i tentativi di rianimazione operati sul posto da un medico che viaggiava su un’altra auto e poi dall’équipe del 118, sopraggiunta dopo pochi minuti.
 
La pericolosità di quell’intersezione, specie a semaforo spento come in quel momento, era nota da tempo in città: “C’erano già stati ben nove incidenti in quell’incrocio” ha ricordato l’avvocato della famiglia Scarmato, Daria Boriosi. La dinamica del sinistro, ricostruita in aula, ha fatto emergere possibili elementi di responsabilità da entrambe le parti. La bicicletta, ha osservato la difesa, avrebbe dovuto dare la precedenza all’auto immettendosi su quella strada. Inoltre, almeno a detta dell’imputata, sul veicolo a due ruote non c’erano luci né segnali luminosi. All’automobilista si contestava però un superamento dei limiti di velocità che nemmeno i consulenti della difesa e dell’assicurazione hanno messo in dubbio. Nel gioco delle perizie contrapposte, si è cercato semmai di dimostrare che la violazione fosse più o meno grave: per la difesa la Focus doveva viaggiare tra i 55 km/h e i 60 km/h, per il consulente della Procura tra i 62 km/h e i 72 km/h, rispetto ai 50 chilometri orari imposti in una zona considerata centro abitato.
 
Per il sostituto procuratore Attilio Offman la sola presenza del semaforo - benché lampeggiante - andava considerata come segnale di pericolo. Quanto alla velocità, è verosimile per l’accusa che si attestasse entro il range suggerito dal perito, per la precisione tra i 65 km/h e i 69 km/h. Ulteriore elemento, il passaggio di un’altra bicicletta pochi secondi prima di quella su cui viaggiavano Scarmato e l’amico: “L’imputata dice di aver visto la prima bici ‘in lontananza’. In pochissimo tempo ha quindi percorso una distanza significativa: questo significa che andava a velocità sostenuta. Si poteva chiedere che decelerasse fino a una velocità compresa tra i 34 e i 40 km/h, quella che secondo il consulente avrebbe evitato l’impatto? Sicuramente sì”. Il passaggio della prima bicicletta, sulla quale viaggiava un altro amico del diciassettenne, “faceva capire all’imputata che non si poteva ritenere imprevedibile l’arrivo di una seconda bicicletta”.
 
Alla richiesta di condanna, pari a un anno con il riconoscimento del concorso di colpa e le attenuanti, si sono associate le parti civili. L’avvocato Boriosi si è soffermata sulla telefonata della guidatrice al compagno, cominciata pochi minuti prima dell’impatto: “La telefonata è avvenuta sicuramente dopo lo stadio di corso Monviso, in prossimità del luogo dell’incidente. Era dunque appena conclusa o forse ancora in corso al momento del sinistro e rappresentava un elemento di distrazione”. “Se la signora avesse cominciato la telefonata in ospedale, terminandola prima dell’incidente, significherebbe che è arrivata in due o tre minuti sul posto anziché in quattro o cinque: quindi che andava a forte velocità” ha argomentato l’avvocato Ariano, difensore del ragazzo che quella sera guidava la bici su cui si trovava Scarmato: “I periti di difesa affermano che non ci fosse il tempo per reagire data la velocità della bicicletta, ma nessuno ha accertato a quanto viaggiasse il velocipede”.
 
Unico elemento certo, obietta l’avvocato del responsabile civile Luca Vineis, è la mancata precedenza: “L’incrocio è in aperta campagna, la percezione non è quella di trovarsi in un luogo abitato. Il perito dell’accusa sostiene che a 35/40 km/h si sarebbe potuto evitare l’impatto, ma non c’era motivo di scendere a quella velocità: di notte, quella è un’autostrada”. Anche per il difensore dell’imputata, avvocato Vittorio Sommacal, la responsabilità ricade solo su chi ha violato la precedenza: “Quella del ragazzo è stata una condotta di guida folle e parliamo di un diciassettenne, che di lì a poco ha conseguito la patente. Nemmeno l’automobilista che viaggiava dietro alla Focus dice di essersi accorto delle due bici, segno che non erano così visibili”. Circa la questione della telefonata, ha aggiunto il legale, “è inverosimile che l’automobilista fosse al telefono con il fidanzato al momento dell’impatto, altrimenti lui avrebbe avvisato prima i soccorsi. In ogni caso, se era impossibile fermarsi, l’eventualità che fosse distratta non avrebbe cambiato nulla”.
 
Alla lettura della sentenza in aula erano presenti i genitori di Francesco, Domenico e Giusy, insieme ad altri parenti e amici e al superstite dell’incidente: quest’ultimo ha avuto un mancamento dopo la lettura del dispositivo ed è stato portato via dall’ambulanza. L’assoluzione è stata accolta da vivaci proteste e urla da parte dei presenti, alcuni dei quali indossavano una maglietta con la scritta “giustizia per Francesco”. Per timore che la situazione degenerasse, l’avvocato Sommacal e l’imputata sono stati accompagnati a un’uscita secondaria del tribunale. Il verdetto in sede penale - appellabile - non influenza comunque l’esito del procedimento civile che potrà essere intentato per ottenere un risarcimento.

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