BORGO SAN DALMAZZO - Borgo San Dalmazzo, per gelosia minacciò un conoscente con il coltello: condannato

Di fronte al bar Central l’albanese 31enne aveva affrontato arma in pugno il suo connazionale, accusandolo di essere l’amante della moglie

a.c. 22/04/2021 20:15

 
È una vicenda di gelosia e minacce quella che ha portato sul banco degli imputati E.P., albanese residente a Borgo San Dalmazzo, classe 1986.
 
Nel novembre 2017 era stato denunciato da un connazionale dopo che quest’ultimo aveva riferito di essere stato affrontato da E.P. davanti al bar Central. L’imputato, a quanto riferito dall’autore della querela, impugnava un coltello di una ventina di centimetri ed era infuriato con lui perché lo accusava di essere l’amante della moglie. L’uomo ha smentito la circostanza: i loro rapporti di conoscenza si limitavano al fatto che la sua convivente aveva lavorato per qualche tempo come babysitter per la famiglia di E.P., il quale peraltro non avrebbe saldato i compensi pattuiti.
 
A confermare la ricostruzione accusatoria è stato un testimone, cognato della parte offesa: “Ero andato a prendere le sigarette e stavo per entrare al bar. Ho visto E.P. davanti alla porta con la moglie e altre persone di mia conoscenza: aveva un coltello in mano e diceva a mio cognato ‘esci fuori che ti ammazzo’. Lui non ha risposto ed è rimasto nel bar finché E.P. non si è allontanato”. Su questi presupposti il pubblico ministero Raffaele Delpui ha chiesto per l’imputato, incensurato, la condanna a otto mesi: “In modo spavaldo la condotta è stata messa in atto in un bar, un luogo pieno di potenziali testimoni in orario serale”.
 
L’avvocato di parte civile Antonio Tripodi ha definito “chiara e coerente” la ricostruzione offerta dal suo assistito: “La minaccia era credibile per la personalità dell’imputato e il tenore delle accuse rivolte. E.P. ha puntato l’arma prima al ventre e poi alla gamba dell’altro uomo ed è stato visto da un testimone”. Il difensore, avvocato Fabrizio Di Vito, ha sostenuto all’opposto che nessun testimone a parte il querelante avesse visto con chiarezza il coltello, peraltro mai ritrovato né sequestrato: “È certo solo che si siano trovati di fronte a un bar, alla presenza di numerose persone. La parte civile aveva interesse a vedersi pagate le ore di attività prestate in nero dalla compagna, per questo ha presentato la denuncia”.
 
Il giudice Francesco Barbaro, ritenendo provata la responsabilità dell’imputato, lo ha condannato a otto mesi con pena sospesa allineandosi alle richieste della Procura, nonché al pagamento di mille euro di danni.

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