CUNEO - Cuneo, alle battute finali il processo per la frode al Comune

Nei lavori spondali sullo Stura si trovarono ciottoli al posto dei massi ciclopici anti-alluvione. Il cantiere di Ronchi era in mano a una ditta della ‘ndrangheta

Andrea Cascioli 13/11/2019 21:00

 
Dove avrebbero dovuto esserci massi ciclopici c’erano in realtà ciottoli, sabbia e materiali di risulta. Si parla dei lavori di difesa spondale eseguiti tra il settembre 2013 e l’aprile 2014 sugli argini dello Stura. Lavori che dovevano servire a difendere l’abitato di Ronchi dalle alluvioni, collocando lungo il greto una serie di massi ciclopici ingabbiati da strutture metalliche.
 
Peccato che quelle opere erano state eseguite tutt’altro che ‘a regola d’arte’. La Guardia di Finanza se n’era accorta fin dai primi sopralluoghi. Già allora si era potuto constatare un parziale collasso dei cinque ‘pennelli’ posti sulla sponda sinistra del fiume, con l’intento di alleggerirne la portata da quel lato. Anche la scogliera posta a valle del viadotto autostradale, poi, presentava alcune evidenti criticità.
 
Un’opera “destinata a perire naturalmente perché l’azione dell’acqua avrebbe fatto sì che questo complesso di massi, di dimensioni inferiori a quelle previste, cadesse su se stesso”, ha affermato il pm Giulia Colangeli chiedendo la condanna a un anno di carcere per il direttore dei lavori e un suo collaboratore, a 10 mesi per altri tre imputati di frode nelle pubbliche forniture, falso ideologico e truffa aggravata. A rispondere di questi reati sono chiamati l’ingegner Aldo D. dello studio HyM di Torino, autore del progetto preliminare e direttore dei lavori, il suo collaboratore Domenico R., il direttore tecnico del cantiere Amedeo D’U., la titolare della Madonna Costruzioni srl Giuseppina D’U. e il geometra Domenico R. della Icop srl, che non aveva alcuna carica nel cantiere ma ne sarebbe stato il direttore ‘occulto’.
 
La Madonna Costruzioni srl, insieme a un’altra azienda edile del Salernitano, si era aggiudicata l’appalto da 800mila euro finanziato dalla Regione Piemonte su richiesta del Comune di Cuneo. Ma a subentrare ‘di fatto’ nella direzione del cantiere e nell’esecuzione delle opere, secondo le accuse, sarebbe stata la Icop, una ditta di Antonimina (Reggio Calabria) il cui ex titolare, Massimo Siciliano, è stato arrestato nel 2014 e condannato a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa. Insieme a lui è finito in carcere, con una condanna di 14 anni, il suocero Nicola Romano, ritenuto il capo della ‘locale’ di ‘ndrangheta ad Antonimina.
 
“Non c’era nessun contatto diretto tra il geometra e la Madonna Costruzioni” ha affermato nella sua arringa il legale dell’uomo della Icop che la Procura ritiene essere stato ‘di fatto’ a capo del cantiere di Ronchi. L’avvocato ha parlato di “parziali riscontri testimoniali ma non documentali” a sostegno delle tesi accusatorie: è comunque certo che il Comune di Cuneo avesse negato alla Madonna Costruzioni la possibilità di stipulare un contratto di subappalto. Per aggirare il divieto, l’impresa salernitana avrebbe allora stipulato un contratto di ‘nolo a freddo’, affittando escavatori e dipendenti ai calabresi.
 
Di un avvicendamento ‘ufficioso’ tra la Madonna e la Icop ha parlato anche la difesa di Amedeo D’U., direttore tecnico del cantiere e fratello della titolare dell’azienda appaltatrice. I problemi di salute del padre e le difficoltà che la Madonna stava attraversando, secondo il difensore, avrebbero giustificato la richiesta di sostegno alla Icop: “Tra le due società non c’erano precedenti collegamenti. Il contatto con la Icop arrivò per il tramite di un’altra impresa di Potenza con cui la Madonna aveva avuto rapporti di lavoro”. Per questo “la Madonna srl dovrebbe essere considerata parte lesa come lo è il Comune di Cuneo”, dal momento che Amedeo D’U. non poteva avere contezza di ciò che avveniva sul cantiere se non per il tramite del geometra R. e dei progettisti: “È un imprenditore giovane e inesperto, la sua unica colpa è di essersi fidato troppo di chi gli aveva suggerito di rivolgersi a quella ditta”.
 
Il legale di Giuseppina D’U., amministratrice della Madonna Costruzioni, ha allo stesso modo respinto l’ipotesi che vi fosse da parte sua la consapevolezza di recare un danno all’ente pubblico. È stata contestata altresì la scelta del Comune di costituirsi come parte civile, nonostante i lavori di rifacimento fossero già stati rifinanziati a spese dell’azienda, e chiedere i danni d’immagine: “La giurisprudenza ha chiarito che questo tipo di risarcimento può essere preteso dal Comune solo se chi arreca danni all’immagine dell’ente è un dipendente comunale o rappresenta in qualche modo l’amministrazione”.
 
La prossima udienza del processo, con le ultime arringhe e le eventuali repliche, è fissata per il 10 dicembre.

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