CUNEO - Cuneo, assolta la donna che accoltellò il compagno: per i giudici fu legittima difesa

L’episodio avvenne nel settembre 2019 in uno degli alloggi popolari della ex Leutrum. Natascia Mameli, madre di tre figli, era in carcere per tentato omicidio

Andrea Cascioli 02/03/2021 19:27

 
Era in pericolo imminente e accoltellò l’uomo che conviveva con lei per legittima difesa: per questo, nel pomeriggio odierno, il collegio giudicante presieduto da Elisabetta Meinardi ha assolto dall’accusa di tentato omicidio la 37enne Natascia Mameli.
 
La donna si trovava in carcere dalla notte dell’11 settembre 2019 quando gli agenti della Questura di Cuneo erano accorsi nella vicina abitazione di via Carlo Manfredi di Luserna, presso l’ex caserma Leutrum, dove la Mameli conviveva con un meccanico di Cerialdo. L’uomo, all’epoca 43enne, era stato ricoverato in gravi condizioni al Santa Croce ma si era salvato. In passato la polizia era già intervenuta più volte per sedare le violente liti tra gli inquilini di quell’alloggio, entrambi con trascorsi di tossicodipendenza e alcolismo. Alla donna era stata per questo revocata la custodia dei tre figli avuti da una precedente relazione.
 
L’uomo aveva raccontato in aula di aver visto la compagna corrergli incontro con due coltelli e colpirlo sull’uscio di casa quando già si apprestava a lasciare l’appartamento. Opposta la versione dell’imputata che sosteneva invece di aver fronteggiato il partner armato nella convinzione che lui la volesse uccidere. In un diverso procedimento, conclusosi nel dicembre 2019, il convivente è stato condannato in primo grado per maltrattamenti alla pena di quattro anni di reclusione.
 
Al termine del processo, conclusosi con il rito abbreviato, il sostituto procuratore Marinella Pittaluga aveva chiesto per la Mameli la pena di sei anni di carcere. La difesa rappresentata dall’avvocato Giulia Dadone ne aveva invece domandato il proscioglimento citando alcuni riscontri, in particolare il fatto che sui due coltelli non fossero state rilevate impronte e che le tracce di sangue fossero differenti: solo una delle due lame, ha sostenuto il difensore, era penetrata nel corpo dell’uomo, mentre l’altra era verosimilmente nelle sue mani.
 
“È una soddisfazione non solo professionale ma anche umana” ha commentato all’esito della sentenza l’avvocato Dadone: “La vicenda, una relazione malata nella quale lei era la vera vittima, è molto complessa. Dall’istruttoria è emersa la realtà dei fatti in tutte le sue sfaccettature”.

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