CUNEO - Cuneo, permessi di soggiorno ‘facili’: un operaio marocchino a processo

L’immigrato avrebbe aiutato i connazionali a ottenere i documenti in cambio di soldi, fornendo false dichiarazioni con la complicità di un collega italiano

a.c. 12/09/2019 18:44


C’è un alloggio in un anonimo stabile del quartiere Donatello di Cuneo al centro dell’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso ideologico che ha portato a processo il cittadino marocchino A.M., operaio alla Michelin, da oltre vent’anni residente in città con la famiglia.

Stando alle pratiche per il rilascio di permessi di soggiorno presentate in Questura, nell’abitazione dell’uomo ci sarebbe dovuto essere un vero via vai di persone. Ben cinque stranieri, infatti, risultavano domiciliati nell’appartamento di corso De Gasperi dove A.M. risiedeva insieme alla moglie e a due figli.

Un ‘sovraffollamento’ che aveva insospettito gli agenti di Polizia, tanto più in ragione del fatto che i consumi energetici apparivano del tutto normali per una famiglia di quattro persone. Anche l’amministratore confermava di non aver notato movimenti attorno a quell’alloggio, circostanza evidenziata in seguito dagli appostamenti.

Il 13 luglio 2016 era quindi scattata la perquisizione, che aveva consentito agli agenti, coordinati dal commissario Dario Silvestro, di acquisire una mole ingente di documentazione cartacea relativa ai cinque immigrati già individuati in precedenza e ad altri sconosciuti: “L’indagine è stata molto complessa - spiega il commissario - ed è emerso che il numero di telefono in uso all’imputato e a sua moglie era indicato anche da altri soggetti in varie pratiche presentate all’Agenzia delle Entrate e ad altri enti pubblici”.

Il sospetto era quindi che gli immigrati presentassero false documentazioni per ottenere il permesso di soggiorno, come è in effetti accaduto: tutti e cinque, oggi, hanno un titolo regolare di permanenza. Nella sua attività illecita di ‘facilitatore’ delle pratiche, l’operaio si sarebbe giovato anche del suo ruolo di vicepresidente dell’associazione culturale marocchina Sviluppo e Speranza, che si occupa di assistere i maghrebini della Granda.

Ad accrescere i sospetti che dietro a tutto questo si celasse uno scambio di denaro aveva contribuito il ritrovamento di un bollettino da 380 euro inviato dalla Francia ad A.M.: quest’ultimo, nel corso della perquisizione, avrebbe fatto allontanare da casa i figli con lo scopo di liberarsi del foglietto, ritrovato dagli uomini della Questura in un cespuglio poco lontano dal palazzo.

Nei successivi accertamenti era emerso inoltre il nome di A. L. C., un collega di lavoro italiano di A.M. che si sarebbe prestato come complice. Risultava infatti che A. L. C. avesse assunto come collaboratori domestici, nell’arco di sette o otto anni, diverse persone che figuravano domiciliate in casa del collega marocchino.

L’italiano, la cui posizione è stata stralciata, è stato condannato a sei mesi in un altro procedimento.

Al prossimo 10 febbraio 2020 sono stati fissati l’esame dell’imputato e la sentenza.

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