CUNEO - Era sotto misura cautelare ma riscuoteva il reddito di cittadinanza: condannato un cuneese

Denunciato dalla ex fidanzata, l’uomo era stato sottoposto all’allontanamento dal comune. Una condizione che avrebbe dovuto segnalare all’Inps

a.c. 24/11/2022 17:58

Un’omissione nella domanda per il reddito di cittadinanza è costato la condanna a un anno e quattro mesi nei confronti di un cuneese, M.G., denunciato nel settembre 2021 dalla Guardia di Finanza.
 
Le fiamme gialle contestavano all’uomo di aver percepito in maniera indebita 6800 euro di sussidio. Nell’aprile del 2019 M.G. aveva sottoscritto una domanda, seguita da un’integrazione a settembre. Proprio questo ulteriore documento è all’origine dei suoi guai giudiziari. In agosto infatti era stato colpito dall’obbligo di allontanamento dal comune, ma non l’aveva segnalato all’Inps come invece avrebbe dovuto fare. Tra le condizioni che impediscono di ricevere il reddito di cittadinanza c’è la sussistenza di misure cautelari in capo al richiedente. In altre parole, non solo chi si trova in carcere o ai domiciliari, ma anche chi è sottoposto all’obbligo di firma o a divieti emanati dall’autorità giudiziaria non può vedere accolta la sua domanda: lo stesso vale per i componenti del nucleo familiare. Qualora l’erogazione sia già in corso, verrà sospesa per la durata del provvedimento.
 
Nel caso di M.G., la misura cautelare in questione era stata disposta dal tribunale a seguito di una denuncia presentata contro di lui dalla ex fidanzata. All’esito dell’istruttoria il pubblico ministero Anna Maria Clemente ha chiesto la condanna a un anno e otto mesi di reclusione: “Non possiamo dire che non fosse a conoscenza dei presupposti per chiedere il reddito di cittadinanza” ha argomentato il procuratore, rammentando che “il reato è punito giustamente con una pena elevata, perché va a danno dell’intera comunità”. L’avvocato Fabrizio Di Vito ha obiettato che l’audizione dei finanzieri non avesse chiarito se la dichiarazione fosse stata presentata dal richiedente oppure da un Caf o da una terza persona: “Manca la prova che abbia coscientemente commesso il falso: qualcuno ha presentato la dichiarazione, ma non per forza chi ha percepito il reddito”. Si può anche ritenere, ha aggiunto il legale, che l’imputato “in totale buonafede” non fosse al corrente delle integrazioni dovute: “Eravamo ai primordi di questa normativa, poi integrata da direttive spesso poco comprensibili anche agli addetti ai lavori”.
 
Il giudice Giovanni Mocci ha ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato e pronunciato nei suoi confronti un verdetto di colpevolezza.

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