“È per te o per tua mamma? Ho un gancio ottimo, te lo spiego poi a voce”: sono state le intercettazioni a inguaiare un gioielliere cuneese, L.C., a processo per la ricettazione di un falso bracciale Cartier. Al telefono con un cliente, l’orafo e rivenditore di orologi Rolex, titolare di un negozio in centro, parlava con un amico e cliente, proponendogli la vendita e concludendo con l’invito a trattare di persona: “Un giorno se riesci a passare ti spiego tutto”. Il compratore, M.R., è ora insieme a lui sul banco degli imputati: secondo la Procura, sarebbe stato consapevole fin dal primo momento dell’illecito. Proprio dal suo interrogatorio con la Guardia di Finanza erano scaturiti indizi che avevano portato al sequestro dell’iPhone del gioielliere e ai successivi accertamenti. Nel gennaio del 2019, nell’ambito di una serie di interventi mirati contro i falsi, le fiamme gialle avevano perquisito la gioielleria e rinvenuto diversi preziosi tra cui Rolex, oggetti in oro e diamanti e bracciali riconducibili alla serie Love del brand Cartier: “A seguito di verifiche si è scoperto che i bracciali erano, seppur abilmente, contraffatti” spiega il luogotenente Marcello Casciani, incaricato di svolgere le indagini. A maggio un ulteriore intervento, nell’ambito del quale erano stati effettuati ulteriori sequestri di preziosi “detenuti senza nessun titolo e quindi ritenuti provento di furto e ricettazione e altri prodotti contraffatti”. Le inchieste hanno generato due procedimenti distinti, in uno dei quali L.C. è stato condannato in primo grado e in appello. “Tutte le transazioni avvenivano in contanti, infatti il gioielliere è indagato anche per questo insieme alla compagna e ad altre persone presso la procura di Torino” aggiunge il finanziere. Nell’ambito dell’attuale processo a Cuneo, gli inquirenti hanno prodotto una serie di conversazioni tra i due imputati che attestano i contatti per l’acquisto di un bracciale: doveva essere un regalo da parte dell’acquirente alla madre. “I prezzi si vedono sui siti della Cartier” dice il venditore in uno dei messaggi, esortando l’altro: “Fatti dire dalla mamma cosa voglia per lei, dopo vedo di combinare”. Sentito in caserma e invitato a consegnare il bracciale, M.R. si era mostrato collaborativo: “Risulta che i due si conoscevano da tempo e collaboravano per la vendita dei Rolex di secondo polso” spiega ancora Casciani. La contraffazione, precisa, era “perfetta”: “Esistono software che consentono di riprodurre perfettamente il manufatto ed eventualmente apportare modifiche, secondo l’intenzione del cliente”. Circa le modalità con cui il gioielliere si sarebbe procurato il falso è stato aperto un ulteriore fascicolo, inviato per competenza a Torino, dove si indaga su una possibile associazione a delinquere. Il processo è stato rinviato all’1 dicembre per l’esame degli imputati e la discussione.