LIMONE PIEMONTE - Furti al cantiere del Tenda bis, parlano le difese: “I dirigenti di Fincosit non erano predoni del ferro”

Per il direttore tecnico Antonino Froncillo l’accusa ha chiesto sette anni di carcere. “Era ben pagato, non aveva bisogno di vendersi” sostiene il suo legale

Andrea Cascioli 07/12/2021 18:00

 
Deve rispondere di furto, detenzione illecita di materiale esplosivo e violazioni ambientali il responsabile del primo cantiere del Tenda bis, quello gestito dalla Grandi Lavori Fincosit attraverso il consorzio Galleria di Tenda dal 2013 al 2017.
 
L’ingegner Antonino Froncillo, napoletano, era il direttore tecnico del cantiere sequestrato nel maggio di quattro anni fa dalla Guardia di Finanza. Dopo lo sdoppiamento del processo (il troncone principale è finito a Torino, con udienza preliminare fissata al 28 gennaio), l’istruttoria tenuta a Cuneo si è soffermata sulle sparizioni di materiali ferrosi: almeno 212 tonnellate, secondo gli inquirenti, quelle sottratte in tre anni e mezzo per un guadagno presunto di oltre 100mila euro, sebbene i carichi tracciati valgano poco più di un quinto di quella cifra. Le centine per il supporto della galleria, i tondini e gli altri materiali sarebbero stati fatti passare per rottami e rivenduti in nero con la complicità del direttore, dei capocantiere Giuseppe Apone e Antonio Palazzo, degli operai Luigi Mansueto e Nunziante De Rosa.
 
Il procuratore capo Onelio Dodero ha chiesto la condanna di tutti gli imputati: sette anni di carcere per Froncillo, più tre mesi di arresto per il presunto smaltimento illecito dei detriti di scavo (il cosiddetto smarino). Sei anni e dieci mesi per il suo “braccio destro” e capocantiere Antonio Palazzo, quattro anni e sei mesi per il predecessore di quest’ultimo, Giuseppe Apone, cinque anni per Nunziante De Rosa, cinque anni e sei mesi per Luigi Mansueto. Pene che le difese ritengono spropositate, anche perché - argomentano - l’azienda per cui lavoravano non ha mai presentato denunce contro di loro, né si è costituita parte civile. Lo hanno fatto invece l’Anas e il Comune di Limone Piemonte, che ha domandato un maxi risarcimento: 400mila euro per ciascuno degli anni in cui il cantiere è rimasto fermo, a seguito del sequestro.
 
“La vicenda è stata descritta come una farsa e i protagonisti come macchiette, predoni del ferro” accusa l’avvocato Andrea De Carlo, legale del direttore tecnico: “L’ingegner Froncillo è stato chiamato a gestire un cantiere da 130 milioni. Era abbastanza ben pagato da rendere inverosimile che si ‘vendesse’”. Nelle intercettazioni registrate per sette mesi, sulle utenze di dipendenti e dirigenti, i sospetti serpeggiano: “Avete venduto tonnellate e tonnellate di ferro e mai una cena” lamenta il contabile dell’azienda Sergio Scarpelli. Semplici maldicenze, ribatte il legale di Froncillo, riportate da persone che non lavoravano sul cantiere o che non avevano contezza di quali lavori fossero eseguiti da altre squadre. Sugli smaltimenti la linea difensiva è univoca per tutti gli imputati: impossibile pensare di accatastare grandi quantitativi di ferro, in un cantiere a 1400 metri di altitudine e con spazi limitati, specie sul versante francese.
 
Per questo i camion andavano e venivano da Limonetto, carichi di rifiuti ma non solo: “Carichiamo prima le centine, poi completiamo con il mucchio. E ci mettiamo i rifiuti sopra” si sente dire dall’operaio Nunzio De Rosa a un autista dell’impresa De Mitri, incaricata dello smaltimento. Una frase che si presta a malevole interpretazioni, così come l’espressione “io col ferro ci guadagno” sfuggita a Froncillo durante una telefonata. “Non si è trovata prova del fatto che il ferro non utilizzato venisse venduto” replica l’avvocato De Carlo. E poi: “Vogliamo decidere noi cosa andasse smaltito oppure no? Palazzo se n’è assunto la piena responsabilità. Anche le centine appena acquistate possono diventare uno scarto”. La verità, aggiunge, è che alla Fincosit del ferro non importava nulla se non per quanto attiene al rispetto della normativa sui rifiuti. Per questo a Froncillo sarebbero stati decurtati i 3100 euro di una multa comminata dall’Arpa, che l’ingegnere afferma di essersi fatto rimborsare in parte da De Mitri. Erano i 1400 euro infilati in una busta e consegnati al direttore del cantiere in un autogrill. Soldi che la Procura ritiene essere invece una “stecca” derivante dalle vendite di ferro sottobanco.
 
Argomentazioni analoghe quelle presentate dalla difesa del capocantiere Antonio Palazzo: “Non vi è un solo contatto telefonico tra lui e i collettori del ferro, né vi sono incontri documentati” dice l’avvocato Giuseppe Naccarato, sottolineando inoltre che “il contratto a saldo copriva l’intera fornitura di ferro per quattro milioni di euro, sull’utilizzabilità decidevano poi il capocantiere e Froncillo in forza di una delega speciale”. C’è poi il capitolo della detenzione illegale di esplosivo: accantonate in un locale, i finanzieri avevano trovato otto scatole con 40 candelotti di dinamite da 25 kg ciascuna, insieme ad altri esplosivi e detonatori. Anche in galleria erano stati rinvenuti candelotti inesplosi. Questo però le fiamme gialle non lo sapevano quando avevano svolto i primi accertamenti, tagliando alcune centine: “Abbiamo corso un grosso pericolo perché le scintille avrebbero potuto innescare un’esplosione” ha ricordato il luogotenente Marcello Casciani. Per i difensori, le carte dimostrano che l’esplosivo era arrivato in cantiere solo il giorno prima ed era stato trovato fuori posto a causa di un errore commesso dai fuochini, gli operai addetti alla conservazione della dinamite. “Palazzo non aveva responsabilità, nemmeno formali” precisa Naccarato. “In quel cantiere arrivavano tonnellate di esplosivo e non è mai successo niente” taglia corto il collega De Carlo.
 
Per Nunziante De Rosa l’avvocato Ester Sansone ha depositato per iscritto le conclusioni, con richieste assolutorie. Il prossimo 21 dicembre il giudice ascolterà la discussione dei restanti difensori.

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