CUNEO - Furti nel magazzino del Mercatò Big di Madonna dell’Olmo, a processo dipendenti e un ex carabiniere

L’accusa: “Merce integra veniva registrata come fallata e poi rubata”. Quattro persone sono a giudizio per furto, altre due hanno scelto riti alternativi

Andrea Cascioli 19/01/2024 19:40

Ha deposto anche l’ex responsabile del settore grocery del Mercatò Big di Madonna dell’Olmo, nel processo scaturito dall’indagine che ha portato alla sbarra, con accuse di furto, cinque ex dipendenti e una sesta persona esterna all’azienda.
 
Sono tutti accusati di aver sottratto merci dal magazzino del centro commerciale gestito dalla catena Dimar. Quattordici gli episodi documentati dai carabinieri, con l’ausilio di telecamere nascoste sul piazzale, dalla fine di aprile alla metà di giugno del 2019. R.S. (classe 1967, residente a Cervasca), A.M. (classe 1970, residente a Caraglio), G.D. (classe 1968, residente a Chiusa Pesio) e O.L. (classe 1964, residente a Centallo) erano tutti dipendenti assegnati al magazzino food del Mercatò all’epoca dei fatti, mentre A.A. (classe 1978, residente a Centallo) era addetto all’area elettrodomestici. Insieme a loro sono finiti nel mirino della Procura un altro dipendente del supermercato, ormai deceduto, e il coimputato V.P. (classe 1962, residente a Cuneo): quest’ultimo è un ex carabiniere ed è la persona che più spesso è stata filmata nell’atto di recuperare gli scatoloni che i presunti complici lasciavano all’esterno, nei pressi della raccolta rifiuti.
 
Nella “lista della spesa” dei sei indagati - quattro quelli comparsi come imputati in dibattimento, altri due hanno scelto riti alternativi - c’erano alimentari di tutti i generi: cassette di frutta e verdura, bottiglie di Coca Cola e di birra Steamworks o Tennent’s, penne Barilla, ma anche tre piante in vaso. “Merce perfettamente integra e in buono stato” sostiene l’accusa, che veniva però collocata nell’area del magazzino destinata ai prodotti danneggiati, scaricata con un lettore ottico dal sistema di gestione aziendale e poi lasciata all’esterno, dove sarebbe stata recuperata sulle auto private degli indagati. Grazie alle riprese, i carabinieri hanno potuto osservare uno di loro nell’atto di danneggiare di proposito le confezioni e poi trasportarle sul piazzale.
 
L’ex dirigente del supermercato ha spiegato che all’epoca l’azienda consentiva di destinare alle donazioni una certa parte dei prodotti alimentari non più vendibili, o perché fallati o per altre ragioni. Solo dal 2020 la procedura sarebbe stata resa più sicura: “Prima la gestiva direttamente il direttore dando mandato a me, ora si deve passare dal responsabile marketing che fa arrivare al punto vendita la merce da donare”. Un effetto dell’inchiesta del 2019, forse, dal momento che secondo gli inquirenti gli indagati si sarebbero serviti anche della beneficenza come “paravento” per le loro attività: tra i documenti acquisiti ci sono due lettere a firma del parroco di Roata Chiusani e San Biagio, don Pietro Giobergia, nelle quali si chiedeva una donazione per l’asilo d’infanzia da lui diretto. Il sacerdote ha disconosciuto le missive, precisando di esserne venuto a conoscenza solo in fase di indagini.
 
L’allora responsabile grocery del Mercatò ha ricordato che il collega A.A. gli aveva consegnato una lettera di richiesta, da lui girata al direttore che l’aveva approvata: si trattava di un certo quantitativo di bottiglie di Coca Cola ed Estathè che sarebbero dovute servire per una festa di fine anno all’asilo. “Non era la prima volta che lo facevamo, avevamo un bancaletto in magazzino con tutta questa merce” ha spiegato il teste, precisando che tutte le richieste venivano vagliate dai vertici del punto vendita: “La merce veniva messa da parte in magazzino, se avevamo richieste ne veniva donata una parte. A scegliere cosa dare erano i responsabili, valutando con il direttore, comunque non i magazzinieri”.
 
Più semplice è invece la procedura descritta per “liquidare” la merce fallata, o presunta tale: “Avevamo un terminale elettronico tramite il quale i prodotti non più vendibili, perché rotti o senza più il codice a barre, potevano essere scartati: chiunque se ne accorgesse poteva dichiarare la merce non vendibile”.
 
Il processo continuerà il 7 ottobre con l’esame dei residui testi dell’accusa e degli imputati.

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