Questa volta è il papà dei “quattro fratellini di Cuneo” a raccontare la sua verità. Lo fa in un processo in cui lui è la persona offesa, vittima di un’ondata di odio social che ha portato al rinvio a giudizio di sedici persone per diffamazione. Due di loro hanno pagato in cambio della remissione di querela, altri sette lo avevano già fatto prima di arrivare davanti al giudice. Per i quattordici restanti, un uomo e tredici donne, il fascicolo è ora assegnato al giudice Elisabetta Meinardi, che presiede anche il processo per abusi sessuali e maltrattamenti in cui è il padre dei “fratellini” a essere imputato. La vicenda è nota a livello nazionale. Dopo la separazione consensuale dei coniugi i quattro figli minorenni della coppia, residenti in un comune dell’hinterland cuneese, erano stati affidati alla custodia congiunta dei genitori. Nel 2019 la donna aveva denunciato l’ex marito, accusandolo di abusi sessuali ai danni di tre dei quattro bambini. Anche la madre, però, era stata in un primo tempo giudicata inidonea alla custodia, dopo una perizia. Il Tribunale per i minori di Torino aveva quindi disposto che i quattro fratelli andassero a vivere insieme ai nonni paterni, ma le problematiche segnalate da questi ultimi avevano portato a una ricollocazione, in comunità per i tre più grandi e presso una famiglia affidataria per la più piccolina. Dopo una battaglia giudiziaria e mediatica, con tanto di interventi della politica, la madre ha ottenuto nel 2022 il ricongiungimento con tutti e quattro i figli. Il processo contro il padre, avviato a gennaio dello scorso anno, prosegue a porte chiuse. Quello per la diffamazione è incominciato stamattina con la deposizione dell’uomo e dei suoi genitori, anche loro parti civili. Al centro delle accuse c’è il gruppo Facebook “Aiutiamo i quattro fratellini di Cuneo”, gestito dalla mamma e da un altro utente: “Il gruppo - ricorda l’autore della denuncia - era nato a luglio 2020, pochi giorni dopo l’affidamento dei ragazzi in comunità: l’accesso era libero ho iniziato a leggere tutto quello che veniva scritto”. Insulti nei confronti suoi e della sua famiglia, spiega: “Mi davano del pervertito e dell’ubriacone, o dicevano che dovevo finire in galera perché gli altri detenuti avrebbero pensato a me. Con i miei genitori non ne ho parlato, soffrivano già abbastanza”. Lo preoccupava, aggiunge, “il fatto che c’erano le foto dei ragazzi e questo riconduceva alla mia persona”. Con possibili conseguenze professionali e anche sul piano personale: “Anche i ragazzi che allenavo ne erano venuti a conoscenza, erano abbastanza stupiti: uno di loro mi ha subito scritto, incredulo per quello che stava succedendo”. Già ad agosto l’uomo aveva maturato la decisione di staccare la spina ai social, cancellando il suo profilo. Non era bastato. “È stato un incubo, avevo paura anche per la mia nuova compagna e per sua figlia, oltre che per i familiari” confida sul banco dei testimoni, parlando di quali conseguenze abbia prodotto l’odio online sulla sua stessa salute: “Stavo malissimo, avevo paura e angoscia: paura a uscire di casa, chi mi minacciava mi aveva già condannato. Non dormivo la notte. A volte avevo attacchi di panico sul lavoro e dovevo tornare a casa. Questo senso di angoscia lo vivo ancora oggi, anche perché il procedimento è tuttora in corso: continuo a pensare ai miei figli, fino a due anni fa vedevo ancora la più piccola”. Ai nonni le minacce sono arrivate anche nella buca delle lettere, sotto forma di tre lettere anonime. C’erano frasi come “non fatevi venire in giro, non uscite dal balcone”. “Con mio figlio non ne avevo neanche parlato all’inizio, per non disturbarlo” dice il nonno dei fratellini, con un filo di voce. L’udienza è aggiornata al 30 gennaio del prossimo anno per completare l’istruttoria.