BEINETTE - “La mia ex mi ha denunciato per avere una casa popolare”: ma il giudice lo condanna

Il 49enne ivoriano viveva a Beinette con la compagna all’epoca dei fatti. La donna ha raccontato di aver subito maltrattamenti e violenze durante la convivenza

Immagine di repertorio

Andrea Cascioli 14/02/2024 16:55

Calci e pugni per costringere la convivente a “stare al suo posto”. Ma anche insulti come “put..., non vali niente”, o esplosioni di gelosia: la pretesa di controllare il cellulare di lei in continuazione, le minacce se la donna chiedeva di uscire. “Ti taglio la gola e ti faccio a pezzettini”, le avrebbe detto in un’occasione.
 
C’è tutto questo tra le imputazioni che hanno portato a processo, e poi alla condanna, un ivoriano di 49 anni, D.M., denunciato dalla ex compagna per maltrattamenti e lesioni personali. Le vessazioni si sarebbero protratte per un anno, fino all’aprile del 2020, nel periodo in cui i due, connazionali, abitavano a Beinette. Lui operava nel settore della vigilanza, lei aveva trovato lavoro in agricoltura: “Il lavoro glielo avevo trovato io, in una cooperativa gestita da ivoriani” ha sostenuto l’imputato.
 
Si erano sistemati in un monolocale insieme ad altri due immigrati africani: “Avevamo tre letti, di cui uno matrimoniale. Per separare i letti dei ragazzi dal nostro avevamo sistemato del compensato” ha spiegato l’uomo. Tra loro, ha ammesso, c’erano litigi: “Solo scontri verbali, mai fisici”. In almeno un caso, però, alle mani si era arrivati. Lui lo ha raccontato al giudice in questi termini: “Stavo grigliando la carne e lei mi ha versato dell’acqua sulla griglia, la fiamma è salita e mi ha bruciato il braccio. Non so perché lo abbia fatto, in quel momento l’ho colpita. Porto ancora le cicatrici della bruciatura”. Diversa la versione della persona offesa, che di grigliate non aveva parlato, ma di botte sì: abbastanza da provocarle un trauma facciale con una prognosi di sette giorni, secondo il referto dell’ospedale.
 
L’idea di lui è che la sua ex avesse in qualche modo “preordinato” tutto per poterlo denunciare. Lo scopo? Ottenere l’assegnazione di un alloggio migliore: “Fin da quando è arrivata a Cuneo, mi ha sempre detto che per avere una casa popolare bisognava avere un bambino piccolo o un caso grave: questo mi fa pensare che fosse il suo scopo”. A parte l’episodio della presunte grigliata, l’imputato non ha concesso altro agli accusatori: i controlli sul telefono? “Impossibile, aveva un codice d’accesso che io non conoscevo”. Nulla nemmeno sulle violenze che, secondo la querelante, avrebbe esercitato servendosi di una stecca da biliardo o qualcosa di simile: “Non avevamo né il biliardo né le stecche, non avremmo avuto nemmeno il posto in casa”.
 
Di “una continua serie di minacce e insulti e più episodi di percosse e lesioni”, uno dei quali contestato come fattispecie autonoma, ha parlato il pubblico ministero Gianluigi Datta, chiedendo la condanna a tre anni. “Le lesioni possono essere considerate una reazione istintiva” ha replicato l’avvocato Fabrizio Di Vito, difensore del 49enne, avanzando dubbi sulle modalità dell’episodio più grave, compreso il fatto che l’uomo impedisse alla convivente di uscire dopo l’alterco: “Possibile che questa donna dall’aspetto non esile non si sia potuta difendere e sia rimasta lì tutta la notte, sostenendo che non poteva nemmeno piangere per non essere picchiata ancora?”.
 
Il giudice Sandro Cavallo ha ritenuto credibile quanto ricostruito dalla persona offesa, non costituita come parte civile nel processo. L’uomo è stato condannato infine alla pena di tre anni e due mesi di reclusione.

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