DRONERO - La premiata ditta della coca: la Procura chiede due condanne per un giro di spaccio a Dronero

Sei anni la pena richiesta per il 43enne che avrebbe impiegato i familiari come “operai” della droga e per il presunto fornitore di polvere bianca

Andrea Cascioli 11/03/2024 17:40

È un’“azienda di famiglia” molto particolare quella che un pluripregiudicato palermitano residente a Dronero, G.D.S., avrebbe gestito per mesi nell’ambito dello spaccio di cocaina. Insieme a lui, oggi 43enne, c’erano il padre A.D.S., ormai deceduto, e il fratello, F.D.S., che ha scelto un rito alternativo.
 
La Squadra Mobile della Questura di Cuneo, indirizzata da fonti confidenziali, aveva puntato i riflettori sugli affari familiari nel febbraio del 2017. Dopo un appostamento davanti all’abitazione del sospettato erano stati fermati due acquirenti, uno dei quali aveva con sé due “cipollette” di coca appena acquistate. La successiva perquisizione aveva portato al sequestro di 28 grammi di polvere bianca, dieci dei quali ancora da confezionare. Nell’abitazione, dove il palermitano risiedeva insieme alla moglie, al padre e a un cugino loro ospite, tutti indagati, c’era anche un bilancino di precisione. Dopo il primo arresto erano partite le intercettazioni: G.D.S. parlava dei familiari come dei suoi “operai” e definiva gli stupefacenti “il prodotto”.
 
I principali “grossisti” della ditta sarebbero stati due soggetti, N.G., pregiudicato italiano di Cuneo, poi deceduto, e F.Z. (albanese residente a Villafalletto, classe 1983). Anche quest’ultimo è finito a processo insieme alla moglie del “capo”, M.B. (classe 1986), al cognato F.B. (classe 1981, anch’egli residente a Dronero), al cugino S.P. (classe 1983, residente a Palermo) e a un presunto complice, L.T. (classe 1960, residente a Cuneo). Dopo il primo arresto, ha ricordato l’ispettore Cristian Mazzola, G.D.S “si era lamentato al telefono con un parente del fatto che il suo ‘operaio’, il cugino S.P., non si fosse accollato la responsabilità del possesso di droga, come avrebbe dovuto fare”. In compenso i familiari, padre e fratello in testa, avrebbero portato avanti l’attività nel periodo in cui il pregiudicato era impossibilitato.
 
In una di queste “commissioni”, in particolare, era emerso il presunto ruolo di F.Z., dal quale la famiglia stava cercando di rastrellare più droga possibile in un periodo di difficoltà. Grazie a una microspia sull’auto di F.Z., gli agenti avevano scoperto il punto in cui veniva nascosta la droga: in località Morra, poco distante dalla provinciale che unisce Villafalletto a Dronero, c’era una confezione con 14 grammi di cocaina, chiusa col nastro adesivo e infilata sotto una catasta di legno. I successivi colpi inferti al gruppo avrebbero però costretto i due fratelli a trovare altri canali, di fronte al rifiuto dell’albanese di continuare a rifornirli.
 
Per il presunto imprenditore della droga G.D.S. il pubblico ministero Alessandro Bombardiere ha chiesto una condanna a sei anni e quattro mesi. Poco meno di quanto proposto per il soggetto individuato come fornitore, ovvero F.Z., ovvero sei anni e trenta giorni: a carico di entrambi, una sanzione pecuniaria aggiuntiva da 25mila euro. La Procura non ha ritenuto invece di avere sufficienti elementi a carico dei quattro coimputati, gli “operai” e supposti fiancheggiatori. L’avvocato Luca Martino, difensore di F.Z., ha rilevato come in nessuna delle cessioni documentate l’albanese fosse mai stato identificato con certezza: anche in occasione dell’appostamento alla Morra, gli agenti avrebbero solo presunto che si trattasse di lui. Per F.B., S.P. e L.T., i comprimari della vicenda, l’avvocato Attilio Martino ha rinnovato dal canto suo la richiesta di assoluzione formulata dalla pubblica accusa.
 
Più complessa la posizione di G.D.S., nei confronti del quale l’avvocato Luisa Chiapello ha chiesto la concessione delle attenuanti e la riqualificazione del reato: “La sua figura è rappresentata come quella determinante in tutta la vicenda, il ‘datore di lavoro’ con i suoi ‘operai’. Dalle intercettazioni, si vede invece come fossero tutti ‘datori di lavoro’”. Quanto a sua moglie, incensurata, si sarebbe trattato di una semplice assuntrice della sostanza, non coinvolta nella “catena” dello spaccio.
 
Il giudice si esprimerà il 4 aprile prossimo sul caso.

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