BOVES - Omicidio Nada Cella, ancora un rinvio: il destino dell’inchiesta dipende dal Dna

Il genetista Giardina ha spostato a metà luglio la consegna degli esami sui reperti. L’unica indagata per il delitto del 1996 è una donna che oggi risiede a Boves

a.c. 27/06/2022 18:30

È ormai una telenovela che tiene con il fiato sospeso l’inchiesta sul delitto di Nada Cella, la segretaria non ancora 25enne assassinata il 6 maggio del 1996 a Chiavari, nello studio del commercialista per il quale lavorava. L’ultimo sviluppo riguarda un’ennesima proroga delle analisi sul Dna, affidate al genetista Emiliano Giardina (noto al grande pubblico per aver rintracciato l’“ignoto numero 1” del caso Yara Gambirasio). La consegna, ha annunciato poche ore fa l’emittente ligure Primocanale, è stata prorogata questa volta alla metà di luglio.
 
Non ci sono dubbi sul fatto che il destino di questa indagine dipenda da quello che potranno dire gli esami genetici sulle tracce che vennero repertate sulla scena dell’omicidio. Oltre a questi reperti, sono da analizzare alcune parti dello scooter di Annalucia Cecere, la 54enne ex maestra elementare che resta l’unica indagata a distanza di ventisei anni. La Cecere all’epoca risiedeva proprio a Chiavari, a poche centinaia di metri dallo studio del commercialista Marco Soracco in via Marsala 14. Pochi mesi dopo il delitto si trasferì in provincia di Cuneo, costruendosi una famiglia e portando con sé il motorino che gli inquirenti hanno sequestrato l’estate scorsa, nel suo garage alla Mellana di Boves.
 
Si ipotizza che la sospettata possa aver litigato con la vittima per gelosia, quel giorno, colpendola con violenza inaudita fino a provocarne il coma e di lì a poco la morte. Ma l’oggetto contundente con cui Nada Cella venne percossa selvaggiamente non è mai stato ritrovato. Restano una traccia di Dna femminile (mai identificata) sulla camicetta della segretaria, lo scooter e pochi altri reperti, tra cui - a sorpresa - è saltata fuori poche settimane fa anche la borsetta che quel giorno Nada aveva con sé. L’ha ritrovata sua mamma, Silvana Smaniotto, in un solaio della casa di famiglia ad Alpepiana, nell’entroterra chiavarese: insieme alla borsa sono spuntati fuori la carta d’identità della giovane, i suoi occhiali e il libretto di lavoro, sul quale molto ci si era concentrati nella prima fase delle indagini. Il sospettato principale, all’epoca, era proprio il datore di lavoro di Nada, Marco Soracco. Oggi il professionista è indagato per falsa testimonianza insieme alla madre novantenne, perché si sospetta che i due non avessero detto tutto ciò che sapevano riguardo alla Cecere.
 
L’allora ventottenne addetta alle pulizie di uno studio dentistico ed ex ragazza madre aveva conosciuto Soracco ed era al corrente di chi fosse la Cella, riguardo alla quale avrebbe formulato generiche minacce parlando con vari conoscenti e vicini di casa. L’ipotesi investigativa, suggerita alla Procura dalla criminologa Antonella Delfino Pesce e dall’avvocato della famiglia Cella Sabrina Franzone, è che la Cecere volesse intraprendere una relazione con Soracco e vedesse la sua segretaria come una “concorrente”.

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