BOVES - Omicidio Nada Cella, la Procura accusa Soracco: “Sapeva chi era l’assassina”

Clamorosi sviluppi nell’inchiesta sul delitto. Secondo gli inquirenti, il datore di lavoro della vittima e sua madre aiutarono Annalucia Cecere a sviare le indagini

in foto: Marco Soracco in un’immagine risalente agli anni Novanta

Redazione 19/10/2023 18:10

Marco Soracco, il commercialista di Chiavari nel cui studio venne uccisa la sua segretaria Nada Cella il 6 maggio 1996, sapeva del coinvolgimento diretto di Annalucia Cecere “avendola sorpresa sul luogo del delitto”. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta appena chiusa dalla procura di Genova, cui ha avuto accesso l’Ansa.
 
La 55enne Cecere, cresciuta a Chiavari ma stabilitasi in provincia di Cuneo già pochi mesi dopo il delitto, è accusata di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Soracco e la madre Marisa Bacchioni devono rispondere di false dichiarazioni al pm e favoreggiamento: per l’accusa avrebbero mentito nel corso degli interrogatori tenutisi fino a un mese fa. Cecere, si legge nell’avviso di conclusioni indagini, avrebbe ucciso Nada “per motivi di rancore e gelosia verso la vittima (per via della posizione da lei occupata all'interno dello studio di Soracco e la sua vicinanza a costui)”. Soracco, sostengono gli investigatori della squadra mobile, avrebbe mentito più volte.
 
Avrebbe detto che quella mattina era sceso in studio solo qualche minuto dopo le 9:10, ma risulta “invece provato il suo accesso in studio prima delle 9 e la conoscenza della identità dell’autrice della aggressione”. Inoltre avrebbe mentito sulla sua conoscenza con la Cecere dichiarando “di non aver avuto alcuna relazione, ma solo una occasionale frequentazione, e che la donna non era mai andata in studio, eccetto che in una sola occasione - qualche giorno prima dell’omicidio - in cui l’aveva ricevuta la segretaria Nada Cella”. Il castello di bugie, secondo gli inquirenti, riguarderebbe anche la telefonata di una amica “ricevuta lo stesso giorno dell’omicidio (con la richiesta di intercedere per il posto di lavoro di Nada)” e una chiamata ricevuta personalmente, il giorno in cui la stessa Cecere subì una perquisizione (“non sono mai stata innamorata, anzi mi fai schifo” diceva la voce femminile). Riguardo a questo, il datore di lavoro della vittima avrebbe omesso di fornire informazioni utili (asserendo solo di aver considerato la persona della Cecere “figura non importante”). Aveva altresì dichiarato “di non essersi accorto di quanto accaduto alla segretaria e di aver inizialmente pensato ad un malore o a un urto accidentale su qualche spigolo (pur avendo in realtà ritenuto che fosse necessario astenersi dal toccare la vittima o altri oggetti nella stanza)”.
 
Oltre al commercialista Soracco a mentire agli investigatori sarebbe stata anche la madre di quest’ultimo, Marisa Bacchioni. La Procura sostiene che l’anziana, ormai 91enne, abbia mentito all’epoca delle prime indagini e anche nel 2021 e nel 2022, quando il caso è stato riaperto. In particolare, secondo gli inquirenti, aveva negato di avere confidato a un prete, padre Lorenzo Zamperin, i suoi “sospetti su una donna che aveva mire matrimoniali sul figlio” e “anche di avergli riferito di aver ricevuto da terzi il consiglio di mantenere il silenzio per il bene del figlio”. Agli investigatori di allora, è emerso, non aveva raccontato delle dichiarazioni fatte dalla vicina di casa Liliana Lavagno, riguardo alla persona che aveva visto scappare sporca di sangue a bordo di un motorino, parcheggiato sotto lo studio. E ancora, avrebbe mentito quando aveva raccontato di aver pulito “solo tre gocce di sangue” all’ingresso dello studio e sulle scale “per assicurare la pulizia dei luoghi nell’interesse dei condomini e non per cancellare eventuali tracce del delitto”.
 
La donna, infine, avrebbe sviato gli inquirenti dichiarando “di non aver mai sospettato, nemmeno alla luce delle notizie di cronaca sulla perquisizione nell’abitazione di una donna (ragazza madre che si sarebbe invaghita del Soracco), la Cecere”. Nelle carte dell’indagine è emerso anche che la Bacchioni ha detto di “non riconoscere la propria voce né la provenienza della telefonata anonima ricevuta nel mese di agosto 1996 (che individuava la persona della Cecere quale autrice del reato - di fatto discolpando il figlio), e nella quale affermava in prima persona che in quel periodo la Cecere stava assillando e perseguitando il figlio”.

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